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Appena ho letto degli errori, ho pensato subito alla pagina di un libro che ho letto la scorsa estate: Scrittura Ribelle di Ella Marciello.

Io invidio tanto lei, la sua bravura nell’ accettare l’errore e basta ☺️

“Vorrei che ci fosse un po' più di spazio per permettere alle persone di perdere e fallire, senza dover per forza trasformare quel fallimento in una lezione da cui dover imparare…Perché quando ci viene costantemente raccontato che il rifiuto e il fallimento sono solo trampolini di lancio che ci condurranno a cose migliori poi non siamo in grado di gestire il rifiuto che arriva e semplicemente sta li. Arriva per non portare da nessuna parte. Arriva e diventa dolore e quel dolore non ha sbocchi, non è funzionale, non insegna niente e non ti avvicina alla persona o all'artista che aneli essere. Perché tante, troppe volte, quando si chiude una porta si chiude e basta e non succede nient altro. E va bene soffrire. Dovremmo iniziare a fare cultura sul fatto che le persone possono semplicemente soffrire senza che quel dolore sia l'ingresso per nient'altro che un lungo periodo di merda.

Le porte si chiudono continuamente.

Possiamo pure starcene li di fronte e fissarle per tutto il tempo che ci sembra necessario.

Da quel vuoto privo di significato costruire un senso.

Oppure no."

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Arrivo con la mia solita lentezza ottocentesca ❤️ Grazie grazie grazie per questo passaggio di Ella Marciello. Io questa cultura dell’errore non ce l’ho proprio e vorrei fare un corso accelerato di “porte che si chiudono e si chiudono e basta”. Mi sa che invece basta l’esercizio (cosa che da brava invidiosa non ho voglia di fare 😶).

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Invidio il tempo che avevo, il tanto, tantissimo tempo che era solo per me e non me ne rendevo conto. Invidio la spensieratezza, le possibilità infinite che avevo negli occhi con cui guardavo il mondo, le prime volte, le vigilie delle prime volte. Che invidia tenera, questa!

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Grazie Valeria ❤️ quello che hai scritto mi ha fatto pensare molto anche alla nostalgia, che effettivamente in questo episodio non ho citato. Chissà se c’è una sovrapposizione o l’invidia di una vecchia versione di noi ha proprio un altro significato. Ci penserò!

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Che riflessione interessante. Mi domando se possa essere anche una questione di età.

Io mi sono fatta un'idea del perché mi sento un'identità più frammentata (certi giorni mi piace dire più: sfaccettata) rispetto a quando avevo 20 anni e pensavo di potermi mangiare il mondo: è consapevolezza di fallibilità, un più spiccato spirito critico, esercizio del dubbio sia sul mondo che su me stessa. A 20 i dubbi non sapevo che fossero. Andavo come un treno, sempre dritta.

Oggi, di poco superata la boa dei 45 anni, trovo che il non potersi/sapersi incasellare sia un valore, non una mancanza. Mi pare che sui percorsi sempre dritti si perda il gusto del viaggio, i tragitti a ghirigori sono più lunghi e faticosi ma più interessanti.

Non so se dipenda dall'aver accumulato più esperienza del mondo e di me nel mondo, ma so che, a guardarla oggi, la me ventenne era una creatura piena di vita ma anche oltremodo confusa, convinta di sapere chi fosse ma ancora lontanissima da ogni verità. Non la invidio, ma provo tenerezza :)

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Ciao Sara, eccomi con la mia solita lentezza ❤️ grazie per questa riflessione, l’ho girata anche a Giovanni perché potrebbe essere un punto di vista molto interessante per lui.

Mi rivedo anche io con quello che hai scritto: la Angela di oggi ha sì un’identità più confusa (sfaccettata è bellissimo), ma perché è un’Angela molto meno “partigiana” e massimalista. E le ragioni sono sempre le tue: uno spirito critico più forte, e meno spaventata dal dubbio. A volte questo si trasforma in autocensura, ma so che ne guadagno in qualità della scelta finale.

Proverò a riflettere su quello che hai scritto davanti al prossimo percorso a ghirigori (anche se stavo proprio pensando a un episodio di Invidiosa chi va dritto o dritta per la sua strada, interessante). Grazie ancora!

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Mi ripeto nel dirti che leggerti mi piace tantissimo e adoro che, piano piano, tu ci dia piccoli indizi che vanno a delineare la tua persona. Ma lo sai che appena ho letto il titolo del film ho subito pensato che in qualche modo avrei potuto associarlo a te! Ricordo benissimo il giorno in cui ho visto Caterina va in città, in un cinema di Testaccio VENTI anni fa, con un’amica carissima, che, se ci penso bene, mi ricorda un po’ te.

E ora mi fermo perché altrimenti scrivo un papiro, questo spazio lascia fluire i pensieri. Grazie!

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Eccomi qui, con la solita lentezza ❤️ ma che storia stupenda, grazie Serena! Io avrei tanto voluto essere l’amica punk di sinistra, ma la verità è che sono proprio una Caterina. Anche io ho un ricordo molto preciso della prima volta che ho visto quel film: lo aveva trasmesso la RAI, e l’ho visto sul “divanone” con mamma e fratello. Avrò avuto 15 anni, folgorante.

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