Ehilà, come stai? 👋 Questa è Invidiosa, la newsletter che parla delle cose che fanno gli altri mentre io sto a guardare.
Quando scrivo qui capita spesso - con qualche eccezione - di dover fare un po’ di ricerca online. Preferisco evitare blog di psicologia e simili perché non ho gli strumenti per affrontare l’invidia clinica: questo è uno spazio dedicato alla cultura dell’invidia, se posso chiamarla così. Per questo preferisco leggere giornali, riviste e testate, inchieste o editoriali. Mi smuovono la testa nel modo giusto, e aiutano la newsletter a prendere una direzione nelle puntate successive.
Mi è capitato, per esempio, con questo vecchio episodio di Invidiosa. Volevo indagare che effetto fa subire l’invidia invece che provarla attivamente, ma mi serviva qualche dato che desse sostanza. Online non ho proprio trovato quello che cercavo, ma mettendo insieme i numeri mi sono accorta che molti degli articoli che aprivo arrivavano da testate rivolte a un pubblico femminile: Elle, Io donna, Cosmopolitan o Donna Moderna, per citarne alcuni. Certo, ho trovato materiale anche su Focus, il Corriere della Sera e Repubblica (ma questo, stupidamente, non l’ho salvato). Erano articoli con lo stesso contenuto, ma rivolti a un pubblico dal genere neutro. Assenti le testate rivolte a un pubblico maschile. Guardando tutte le tab aperte ho realizzato che - in poco meno di un anno di newsletter - il pensiero che all’invidia si potesse attribuire un genere non mi ha nemmeno sfiorata. Nel mio cercare di scrivere di esperienze il più universali possibile, ho tolto ogni variabile di genere dall’equazione. Questa scelta mi ha fatto sentire limitata? Nemmeno per un secondo, anzi è stata molto naturale. Fuori dallo spazio di Invidiosa, però, le cose possono essere diverse. E in qualche modo lo sono.
Partiamo dalle storie, che sono sempre un buon esempio per capire cosa ci è più familiare. Biancaneve e Cenerentola dicono che non fai una bellissima fine se invidi una ragazza più bella, giovane e gentile di te (o che, in generale, piace più di te). Ma se guardiamo con un filo di attenzione in più non è la bellezza a spaventare, quanto il bisogno di mantere il potere (Biancaneve) o dare sicurezza economica alle figlie (Cenerentola). Oppure: la guerra di Troia è nata dal primo concorso di bellezza femminile della storia. E andando avanti troviamo Lady Macbeth (di nuovo il potere), Rossella O’Hara (l’amore), Eve Harrington di Eva contro Eva (la carriera) e le pettegole di Sant’Ilario che fanno allontanare Bocca di rosa. Il fronte degli invidiosi, però, non è sguarnito: c’è Caino, il primo omicida e il primo invidioso; c’è Iago, che si vendica di un capo che non ha riconosciuto i suoi meriti; c’è il Salieri di “Amadeus” o - con tutte le pinze del caso - il protagonista di Saltburn.
Insomma, di invidia si parla nella Bibbia. Eva avrà sbagliato pure mela, ma la responsabilità di aver reso questo sentimento pericoloso non è nemmeno sua. Allora perché, se l’invidia colpisce uomini e donne indistintamente, si tende a vedere le donne come più facili a cedere? Tagliandola con l’accetta, diciamo che si è creato un corto circuito. Da un lato, la conversazione di massa sugli stereotipi di genere è tutto sommato recente: non è un concetto con cui sono cresciuta e posso identificare un momento molto preciso in cui ne ho scoperto l’esistenza, cioè il terzo anno di università. La consapevolezza è recente. Dall’altro, negli ultimi 80 anni il ruolo delle donne è cambiato radicalmente, così come sono cambiati gli scenari in cui si sono mosse. Lo scontro fra stereotipi e ruoli di fatto - banalizzando immensamente il discorso - si è risolto in un conflitto che spesso non prevede lo scontro. Provo a spiegarmi meglio: i giovani maschi vengono indirizzati a una gestione più fisica e diretta della rabbia, mentre alle adolescenti viene chiesto un rapporto più intimo e personale con la frustrazione. Le pressioni che ricevono sono le stesse, ma le aspettative che li e le circondano no. Non è un caso che tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000 siano usciti due libri molto utili per capire questa “rabbia femminile”: Odd Girl Out di Rachel Simmons e Queen Bees and wannabes di Rosalind Wiseman (libro da cui è stato tratto Mean Girls, per capirci). Così come non è un caso che il cinema - principalmente statunitense - dagli anni ‘70 in poi sia pieno di reginette manipolatrici da invidiare e temere allo stesso tempo. La richiesta, secondo stereotipo, di essere più silenziose, meno vocali rispetto alla propria rabbia e ai normalissimi conflitti che si creano a ogni età porta le donne a cercare strategie alternative per trovare uno sfogo. Così l’invidia o la passivo-aggressività diventano buone armi per affrontare contrasti che si insegna a evitare.
Quindi, per tornare alla grande domanda iniziale: lo donne sono più invidiose? No. Semplicemente, l’invidia vive molto bene in quella terra di nessuno tra ciò che le donne sentono e quello che sentono di dover essere.
Smontare il tabù: quattro chiacchiere con Claudia Gangemi
In questa sezione chiacchiero di invidia con una persona diversa ogni due settimane. Se vuoi dire qualcosa, hai in mente un tema o vuoi raccontare la tua versione dei fatti, scrivimi. Smontiamo insieme questo tabù.
Per l'Invidiosa di oggi ho parlato con Claudia Gangemi, che vive tra Palermo e Bologna e lavora nel campo dell'arte contemporanea da quasi dieci anni come curatrice e project manager. Ha studiato tra Bologna, Londra, Parigi, Amburgo e Gothenburg. Si interessa di immaginari politici, linguaggio, femminismi, di pratiche collettive e di pedagogia legata all'arte. Ha fatto parte del collettivo ৺ ෴ ර ∇ ❃ ﹌﹌ e dal 2020 è socia fondatrice dell'associazione Femminote, con cui desidera comprare un'isola. Dal 2023 fa parte del team di Gelateria Sogni di Ghiaccio e dice "embè, sono anche tua amica da più di 20 anni".
Giusto qualche settimana fa, senza sapere che avevo questo argomento in canna da un po’, mi hai chiesto “ma secondo te l’invidia tra donne è diversa dall’invidia tra uomini?” Come ho detto in apertura, la mia epifania è arrivata da una semplice ricerca su internet. La tua?
Quando ti ho fatto quella domanda stavo pensando a quanto bene io conosca l'invidia che può nascere tra donne - sia in campo lavorativo che sul piano amoroso. Quello che non so è come si manifesta l'invidia tra gli uomini. Dell'invidia tra donne so abbastanza per dire che è un tipo di violenza che colpisce il nostro genere due volte perché ferisce sia l'altra che noi, come un colpo che rincula. In quanto "donne" siamo portate a invidiare molte cose: la bellezza, la ricchezza, la carriera fortunata e le attenzioni degli uomini, di qualsiasi natura siano. Le bambine lo scoprono con Biancaneve e certe serie o rom-com anni '90 lo hanno cementificato nel nostro cervello. Quello che il femminismo mainstream sta cercando di fare negli ultimi anni è cambiare questa traiettoria e in parte pare ci stia riuscendo (che poi questo sia abbastanza è un altra questione). Quindi, per tornare al mio punto, mi stupisce come in giro ci sia un grande immaginario sull'invidia femminile, ma poco che parli di una fenomenologia dell'invidia maschile.
Andiamo a te, adesso: c’è qualcosa - persona, progetto, emozione - che invidi?
La 'mmiria in siciliano è il malocchio, quel potere che l'occhio ha di imprimere sconforti e negatività nella vita degli altri. Ecco, io credo fortemente che bisogna stare attenti a dove poggiamo il nostro sguardo perché si potrebbe anche inavvertitamente colpire anche persone a noi care. Tutto questo per dire che cerco di essere il meno invidiosa possibile. Dall'altro lato, comprendo che sia un sentimento che fa parte del range delle emozioni umane e che non si debba aver paura di provarla; però, va gestita prontamente.
Tutta Invidia - Avere un posto sicuro
Che newsletter sull’invidia sarebbe, senza qualcosa che mi ha fatto rosicare?
Nelle ultime due settimane la parola “gogna mediatica” è stata un po’ sulla bocca chiunque online commenti un certo tipo di attualità. Tra il caso Balocco prima, certi call out su quanto si parla (e quanto no) di Gaza e una brutta storia che probabilmente conoscete ma preferisco non ripetere, tantissima gente si è interrogata su come decidiamo di stare sui social. Le riflessioni più interessanti, almeno per me, sono state quelle nelle stories di Giulia Ceirano - che però non sono più online -, quelle di Donata Columbro e di Evastaizitta. Non entro nello specifico di ognuna perché arrivano a conclusioni molto diverse e tutte interessanti. Il punto che le mette in comune, però, è che abbiamo molto più controllo sulla nostra vita online di quanto pensiamo. Possiamo scegliere chi seguire e chi no. Possiamo scegliere di partecipare - anche solo leggendo - alla prossima polemica o no. Possiamo - e dovremmo, sempre - ricordare che dall’altro lato c’è una persona che legge, fosse anche l’ultimo dei community manager. Possiamo scegliere che virtuale sia reale e viceversa, accollandocene le conseguenze.
Ecco, tutta questa discussione mi ha ricordato due video che ho incrociato due annetti fa (2022, circa). Due creatrici statunitensi, Contrapoints e Lindsay Ellis, erano state “cancellate” all’interno della loro community progressista e LGBTQ+ friendly. I due eventi erano sì collegati, ma erano avvenuti a due annetti di distanza l’uno dall’altro. L’effetto, però, è stato lo stesso: entrambe hanno lasciato YouTube per portare i loro video su Patreon. O meglio, Contrapoints ha lavorato sempre meno su YT, mentre Lindsay Ellis ha proprio chiuso baracca e burattini. Entrambe hanno optato per un posto che fosse loro, dove potessero parlare con chi voleva costruire una relazione di confronto e sì, dire apertamente “voglio pagare per vedere i tuoi documentari/video essay/riflessioni”. Ecco, nelle scorse settimane le ho un po’ invidiate per il loro “posto sicuro”. Stare online, in generale, mi mette non poca ansia. L’idea che possa diventare ancora meno accogliente di come lo percepisco non aiuta. E per un attimo, l’idea di un spazio dove vai se davvero davvero mi è sembrata confortante e irraggiungibile. Per chi volesse vederlo, ecco il video di Contrapoints sulla cancel culture: sarà anche vecchio, ma non ha nemmeno una ruga.
A presto,
Angela
P. S. Queste illustrazioni belle le ha fatte Giovanni Nava, che non ringrazierò mai abbastanza. Lo trovate sempre qui.
© 2024 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
Se vuoi leggere i vecchi numeri di Invidiosa, trovi tutto in questa pagina.
Grazie a chi, in questi giorni, ha parlato di Invidiosa e mi ha aiutata a farla girare un po’.
E noi due, abbiamo qualcosa da invidiarci?
Fammelo sapere con un cuore, un commento o parlando di questa newsletter con chi ti va.
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Visto che hai tirato fuori la cosa in Invidiosa voglio dirti una storia che mi piace sempre. Per il film Amadeus era candito agli Oscar come miglior attore protagonista Tom Hulce nel ruolo di Mozart (risata fantastica) ma la statuetta fu vinta da F. Murray Abraham che nello stesso film faceva Salieri.
Questo numero mi parla tantissimo, e secondo me hai riassunto il senso del post benissimo nella frase: ci disegnano così.
Il vantaggio che abbiamo sta nella nostra consapevolezza e nella spinta a condividere e parlare tra di noi di ciò che proviamo. Autocoscienza power, in ogni epoca, in ogni età. Grazie perché il tuo progetto è uno spazio di autocoscienza.