Invidiosa #16 - Ha senso parlare di invidia in tempi come questi?
Sì, e forse i motivi li sai già.
Ciao 😊 Ecco un nuovo episodio di Invidiosa, la newsletter che parla di cosa fanno gli altri mentre io sto a guardare.
Intanto, voglio salutare e ringraziare tutte le persone che – più o meno una settimana fa – hanno scelto di accogliermi nelle loro caselle di posta e su Substack. Di che parla Invidiosa forse lo sai già, ma ne approfitto per un ripasso. Questa newsletter è sì un progetto tutto mio, ma è anche l’occasione per riflettere su un sentimento che per anni ho trattato come un tabù. Ho invidiato e invidio persone, progetti, vite, relazioni, famiglie e cose che adesso non mi vengono nemmeno in mente. Ma da cosa nasce questa invidia? È colpa dei social o è un istinto naturale? E si può smettere di invidiare, anche solo esorcizzando i pensieri? Vorrei provare a capirlo qui, insieme. E se vuoi sapere qualcosa di più sull’origin story di Inviosa, trovi tutto nel primissimo episodio, uscito più o meno un anno fa.
Visti i nuovi arrivi mi dispiace partire con un tema che potrebbe risultare pesante, ma ho un pensiero che mi frulla in testa da qualche settimana e vorrei provare a metterlo nero su bianco. Ha senso, in un periodo come quello che stiamo vivendo, parlare di invidia? Non che gli ultimi quattro anni siano stati una passeggiata di salute globale, ma quello che sta succedendo a Gaza da ottobre ha un peso drammatico che non è possibile ignorare. E ho la sensazione che gli ultimi cento giorni cambieranno dei paradigmi in tantissime cose: dal modo in cui guardiamo alle nostre istituzioni a come passiamo il tempo online. Certo, non devo dimenticare che le “social vibes” nascono proprio dai social e sono una bolla che io ho creato e che sempre io alimento. In ogni caso, questa è la prima volta da quando scrivo Invidiosa che lo stesso tema della newsletter mi sembra infinitamente meno importante. O meglio, mi è sembrato proprio un lusso. L’invidia, questo sentimento che per un sacco di tempo è stato il metro di valutazione della mia vita, adesso è una cosetta adatta a tempi più leggeri, perché c’è un genocidio dall’altro lato del mare.
Il punto è che questa volta sono io la persona nella condizione invidiabile. Non voglio fare l’elenco delle cose che mancano a Gaza in questo momento e che io posso raggiungere senza nemmeno lasciare casa. Anche solo sapere che tutte le persone che amo sono al sicuro è un privilegio non da poco.
Qualche giorno fa, però, ho finito di leggere l’ultimo numero della newsletter di Alessandro Shaebi. Il tema, nemmeno a farlo apposta, era la “trappola del privilegio”, cioè la distorsione per cui certi diritti basilari della vita di una persona vengano raccontati come un privilegio, qualcosa che non andrebbe dato per scontato. Il ragionamento di Shaebi è più articolato e vale davvero la pena leggerlo. Nel mio caso, mi ha aiutata a capire una cosa importante: non è la mia condizione a essere esageratamente fortunata, ma è quella di Gaza (e della Palestina tutta) a essere un orrore senza senso. Creare gerarchie serve solo a mantenere in uno stato di eccezionalità quelle che dovrebbero essere prerogative di chiunque.
L’invidia è un peccato vecchio quanto il mondo. Trascende culture e strati sociali, tocca chiunque in modo indiscriminato. È un’emozione - con tutti i limiti del caso - normale, normalissima. E se diventa un sentimento per tempi leggeri, allora sono i tempi leggeri quello che dobbiamo rivendicare. Per chiunque.
Smontare il tabù: quattro chiacchiere con Marco Rip
Questa sezione, per chi legge Invidiosa da un po’, è una novità. Prima cercavo di raccogliere le idee e le impressioni che mi arrivavano nella rubrica “Invidia dal fronte”, ma adesso vorrei provare a fare qualcosa di nuovo. Se vuoi parlare di invidia, hai in mente un tema o vuoi raccontare la tua versione dei fatti, scrivimi. Smontiamo insieme questo tabù.
Marco Rip, che ringrazio immensamente per avermi dato il suo tempo e i suoi pensieri, è un audio-documentarista e sound designer. È una di quelle persone che dal 2020 ha cambiato completamente vita e da allora il suo lavoro consiste nell'ascoltare, cogliere e reimpastare le storie di altre persone e i suoni che vi ronzano intorno. Ha realizzato tanti podcast che ho adorato, fra gli altri, per LifeGate Radio e RaiPlay Sound. Quello a cui è più affezionato si intitola "Venticinque".
Grazie per esserti accollato questa la prima intervista della newsletter, davvero. Visto il tema, però, ho pensato fosse giusto parlare con una persona che passa le giornate ad ascoltare e raccontare i pensieri di altra gente. Da quello che hai sentito negli ultimi tre mesi, dici che “vale la pena parlare di invidia oggi”?
Intanto, li mortacci tua per la patata bollente, Cannavò! Tornando alle cose serie, la mia risposta è sì e c’è un motivo molto semplice: l’invidia è una buona unità di misura per capire come stai. Parlarne e imparare a riconoscerla è come tenere un cesto accanto a noi, da riempire con quello che proviamo. Se mettiamo qualcosa nel cesto, possiamo guardare quei pensieri con un certo livello di distacco. Se il cesto è vuoto, forse stiamo meglio di quanto pensiamo ed è maledettamente importante riconoscere un momento di centratura. L’invidia funziona sempre sulla prossimità, a prescindere da quanto lontana e presa da altro possa essere la nostra testa. Ed è un sentimento così antico e radicato che diventa impermeabile a certi fatti, per quanto dolorosi, del mondo esterno. Non è necessariamente un male, questa cosa. Vuol dire che siamo ancora presenti a quello che ci sta vicino, che siamo ancora sensibilii al “qui e ora”.
Senti, ma c’è un progetto, una persona, un concetto o una qualsiasi cosa per cui provi invidia in questo momento?
Qualche tempo fa ti avrei potuto dare una bella lista fitta di persone che mi facevano rosicare. Rispetto al 2020, però, sono cambiate delle cose parecchio importanti: ho fatto delle scelte molto radicali e sento di vivere una vita che mi assomiglia. Forse è anche per questo che oggi io di invidia ne provo pochissima. Non sparirà mai del tutto, ovviamente: è un sentimento domestico, troppo facile da stimolare. Da quando, però, ho scelto di dedicarmi a qualcosa che mi fa sentire finalmente nelle mie scarpe, l’invidia è passata. E credimi, di invidia ne provavo tantissima. Anche se ho sempre cercato di tirarla fuori da me, tipo stregone di Indiana Jones che infila la mano nel torace per vedere com’è fatto questo organaccio. È necessario capire con cosa hai a che fare, perché esiste un'invidia tossica che ti immobilizza e ti rende insopportabile per le persone che hai intorno, e un'invidia che fa da evidenziatore per le cose della tua vita che vorresti cambiare o migliorare.
Tutta Invidia - “Quand’è che lo scrivi un libro?”
Che newsletter sull’invidia sarebbe, senza qualcosa che mi ha fatto rosicare?
Se per lavoro hai a che fare con la scrittura, sono abbastanza sicura che ti abbiano chiesto almeno una volta “ma quindi, quand’è che lo scrivi ‘sto libro?”. Ora, la domanda in sé non ha nulla di male e - almeno nella mia esperienza - è stata spesso un modo per mostrare vicinanza. Come tutte le aspettative proiettate, però, può creare frustrazione. Mi piacerebbe scrivere un libro prima o poi? Può darsi, anche ai magistrati piacerebbe farlo dopotutto. Nella realtà dei fatti è una cosa alla quale penso poco. Vedere, però, sempre più miei coetanei e coetanee pubblicare i loro primi romanzi mi provoca una piccola scossa, come se io fossi qualche casella indietro sul tabellone del gioco dell’oca della vita. Mi sono sentita così giusto prima delle Feste, quando ho scoperto dal podcast Timbuctu di Marino Sinibaldi che Greta Olivo - autrice di “Spilli”, uno degli ultimi libri della collana Supercoralli di Einaudi - è del ‘93, come me. Avevo sentito l’autrice parlare qualche settimana prima al festival InQuiete a Roma, ma non avevo capito quanto fossimo vicine anagraficamente. Il libro, la storia di un’adolescente che sta lentamente perdendo la vista, non è facile da inquadrare ed è per questo che mi intriga molto. E forse è proprio la storia, in parte autobiografica, che mi aveva portata a pensare che Olivo fosse più piccola di me: questa idea, però, non mi aveva lasciato la stessa sensazione di “arrancamento”. Perché questa differenza di trattamento? E perché do all’età tutto questo potere?
Mentre cerco di trovare una risposta, ti mando un abbraccio e ti ringrazio per aver letto fin qui. Ci risentiamo tra 15 giorni, con tante cose nuove da invidiare.
A presto,
Angela
P. S. Queste illustrazioni belle le ha fatte Giovanni Nava, che non ringrazierò mai abbastanza. Lo trovate sempre qui.
© 2023 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
Se vuoi leggere i vecchi numeri di Invidiosa, trovi tutto in questa pagina.
Grazie a chi in questi giorni ha parlato di Invidiosa e mi ha aiutata a tirarla fuori dal guscio. In particolare, grazie a Valentina Aversano per la sbrinatura e Serena Blasi per i “go go go!”
E noi due, abbiamo qualcosa da invidiarci?
Fammelo sapere con un cuore, un commento o parlando di questa newsletter con chi ti va.
Ti hanno inoltrato questa mail? Iscriviti a Invidiosa.
Tocchi corde che spesso evitiamo anche solo di guardare per paura. Grazie per le riflessioni umane e sincere (ne abbiamo bisogno)
Ciao Angela, quando racconti le tue invidie, rendi questa newsletter umana. Quello che non mi è mai piaciuto delle newsletter era che le trovavo come dei lunghissimi monologhi. Ciò che cambia in Invidiosa è che, in qualche modo, riesci ad accendere l’ascoltatore ed il suo ruolo.
Guardandoti dentro, mi porti a fare lo stesso (come succede quando siamo destinatari di una confidenza) e mi “costringi” a farlo nei confronti di un sentimento che, fin da piccoli, ci dicono di soffocare-reprimere. Immagino non sia sempre facile scoprirsi così, ma sappi che generi vicinanza anche a distanza.