Questo è il nuovo episodio di Invidiosa, la newsletter sulle cose che fanno gli altri mentre io sto a guardare 👋
Non posto nulla su Facebook dal 14 giugno 2019. Però lo uso. O meglio, ci sto su per lavoro e per sbirciare “Arredare case piccole”, un gruppo di persone che arreda…case piccole. Non ci passo tantissimo tempo, però, e questo sembra aver mandato un po’ nel pallone l'algoritmo.
Tolte le mini-case, infatti, Facebook passa il suo tempo a cercare di capire come convincermi a postare qualcosa. “Lo so che hai un’opinione molto forte sul tema XY, perché non la condividi in questo bel minestrone?”, “Ah, avevi già segnalato di non voler più vedere contenuti razzisti, misogni o negazionisti del cambiamento climatico? Cavolo scusami, adesso sistemo ma…non è che nel frattempo mi fai partire una shitstorm? Dai, una piccolina”. E niente, le opzioni qui sono due: o Facebook vuole farmi imbestialire (tesi più accreditata), oppure mi propone semplicemente un contenuto che sta avendo successo, che solitamente va forte in un pubblico “boomer”. A un certo punto, infatti, ho iniziato solo a vedere post che parlavano di quanto fosse bello il passato, quanto più semplice e rispettosa fosse la vita prima, quanta più sicurezza, onestà e veracità ci fosse nelle cose. Il post che becco più spesso è questo.
Forse le ventenni di oggi non hanno mai pensato, che noi della mia generazione, ormai nonne:
- Indossavamo minigonne cortissime, pantaloni aderenti, stivali alti, e non portavamo il reggiseno.
- Ascoltavamo Led Zeppelin, Who, Beatles, Rolling Stones, Jimi Hendrix e Janis Joplin.
- “Cavalcavamo” su Mini Cooper e su moto fighissime.
- Fumavamo tabacco e bevevamo whisky.
- Andavamo a festival musicali in mezzo al fango, magari ballando tra la folla.
- Vivevamo giornate lunghissime, perché non avevamo internet, smartphone, social, e della tv ce ne fregava assai poco.
Sappiatelo: non sarete mai fighe come lo era vostra nonna. Qualcuno ve lo doveva pur dire.
Ora, tolti i paragoni faciloni - il cantante preferito di mia nonna è Gianni Morandi, e da lì non si schioda - questo post mi fa scattare immediatamente. È chiaramente una traduzione da un testo inglese (la Mini Cooper, per esempio), che non tiene conto del contesto e che fa leva su tutti i pregiudizi beceri del pacchetto “si stava meglio quando si stava peggio”. Ed è gratuito. Non mi risulta che le ventenni di oggi abbiano ingaggiato una guerra culturale con le loro nonne - con una certa idea di conservatorismo sì, e visto quello che le nonne si portano a casa direi che le distanze sono più sottili che mai. Ma non è che quella del post - e di chi ci si rispecchia - è tutta invidia? E non è che il mio fastidio - oltre i motivi già citati - nasce da un’invidia diversa per quella generazione?
Credo che qui ci siano due spunti da cui partire.
Il primo è la rilevanza. È un problema vecchio come il mondo quello delle culture anagraficamente giovani che, in cerca di uno spazio di espressione, finiscono per scontrarsi con la cultura “di sistema”, che certi feudi è ben intenzionata a tenerseli. Faccio un po’ fatica a trovare degli esempi perché il materiale è davvero vasto: movimenti e correnti sono nati in tensione, per quella tensione sono stati denigrati e su quella tensione hanno costruito una sintesi. Un’ottima analisi del tema l’aveva fatta tempo fa Alessandro Baricco nei “I barbari”, cercando di capire perché la sfera culturale a cui lui appartiene sentisse l’apocalisse tanto vicina e perché la vedesse proprio nell’educazione delle generazioni più giovani. La risposta di Baricco è più di metodo - è cambiato il modo in cui si fanno le cose e un pezzo di popolazione non ci si rivede più - ma io credo che vada aggiunta anche, appunto, la perdita di rilevanza. La paura di perdere determinati privilegi porta a sminuire i valori del “nuovo che avanza”, cercando di tenere l’autorevolezza - e l’autorità - nelle mani di chi ha più esperienza. Lo spiega davvero bene Vera Gheno in una puntata del podcast Amare Parole, dove smonta il dato secondo il quale chi ha tra i 13 e i 18 anni possieda un vocabolario di sole 300 parole. Non è vero - e vi consiglio di ascoltare la puntata per capire perché -, ma affermazioni di questo tipo aiutano generazioni anziane a mantenere le chiavi della conoscenza e, quindi, l’autorità.
Il secondo punto è il mito dell’età dell’oro, cioè la romanticizzazione di un passato anche piuttosto recente. Okay, a essere sincera sto usando impropriamente questa definizione. L’età dell’oro, infatti, ha un riferimento mitologico preciso: con le giuste differenze, sia “Le opere e i giorni” di Esiodo che il “Rāmāyana” si riferiscono a un’epoca felice - e passata - in cui gli esseri umani non avevano bisogno di lavorare perché tutto si offriva loro spontaneamente, vivevano in pace e, soprattutto, non conoscevano il dolore della morte (ehilà, giardino dell’Eden). Questa idea ebbe molta fortuna nella Roma tardo repubblicana dove - tra una guerra civile e l’altra - la necessità di richiamarsi a un passato “ricco di valori” e il bisogno di un futuro più pacifico erano il desiderio di buona fetta di società. Se Virgilio ne parla in modo ottimistico - arriverà il puer che sistema tutto, vedrete - Giovenale più tardi utilizzerà l’età dell’oro in senso moralistico, per denigrare lo sfacio dei consumi contemporanei. Salto nel tempo fino a oggi: l’età dell’oro ha perso i suoi connotati più “religiosi” ed è diventata culto di un passato “fermo” contro un presente liquido. Parte della grande svolta autoritaria e conservatrice - se non proprio fascista - degli ultimi dieci anni sta anche qui. Siamo davanti a una serie di cambiamenti molto difficili da interpretare, che spesso ci chiedono di mettere in discussione il nostro stile di vita per un beneficio collettivo che non è sempre dietro l’angolo. La risposta più immediata, quindi, è quella di cercare di difendere lo status quo invece di cercare una sintesi col nuovo.
E le giovani generazioni, invece, invidiano qualcosa a quelle più vecchie? Assolutamente sì, e per motivi più che comprensibili. In Italia, tra stipendi che non crescono da trent’anni ed estrema precarizzazione del lavoro, (diminuita nel primo trimestre del 2024 perché più persone over 35 hanno ottenuto contratti a tempo indeterminato) l’ascensore sociale si è bloccato e la povertà “si eredita”. C’è poi il macigno del cambiamento climatico che pesa sulle teste delle nuove generazioni, che sono anche quelle che soffrono di più di ecoansia, cioè la paura cronica per la rovina ambientale. È inevitabile che chi ha vent’anni oggi guardare con invidia a chi ha vissuto buona parte della propria vita con il cambiamento climatico come un’idea lontana, un problema del futuro. Non parto nemmeno con il discorso “casa di proprietà” o il discorso “pensioni”. Una cosa interessante su questo punto, però, l’ho vista lo scorso anno in Francia, quando la popolazione si è mobilitata in modo trasversale per ogni fascia d’età contro la legge che ha aumentato l’età pensionabile da 62 a 64 anni. In Italia, invece, sembra ci sia il bisogno di alimentare l’idea di un mondo a somma zero, dove il vantaggio di una generazione è la condanna dell’altra.
Al netto delle oggettive incognite che una generazione come la mia si trova ad affrontare, infatti, nemmeno noi siamo al sicuro dal mito dell’età d’oro. Se adesso persino la Gen Z si è messa a invidiare la “millennial experience” è perché qualsiasi cosa attorno a noi ci dice che le cose si stanno mettendo male. E se in parte l’ansia è giustificabile, crogiolarsi nella nostalgia e nell’invidia non è la soluzione, così come non lo è arroccarsi sulle proprie posizioni. Fomentare uno scontro tra generazioni è una scelta politica, così come lo è concentrarsi su un mitico passato che non può più tornare. In casi come questi, forse, vivere dentro il presente è l’azione più politica che possiamo fare.
Smontare il tabù: quattro chiacchiere con Serena Blasi
In questa sezione parlo di invidia con una persona diversa ogni due settimane. Se vuoi dire qualcosa, hai in mente un tema o vuoi raccontare la tua versione dei fatti, scrivimi. Smontiamo insieme questo tabù.
è autrice e content writer, indaga le relazioni tra figlie e madri nella letteratura, nel cinema e nelle serie tv. Scrive racconti memoir e ricerca le voci delle antenate. Ha scritto per Galápagos un articolo sulla metafora dei pozzi partendo dal dialogo tra Natalia Ginzburg e Alba de Céspedes attorno al Discorso sulle donne.“Una figlia per amica” è la tua newsletter memoir, dove racconti i rapporti tra le donne anche attraverso episodi della tua vita. C’è qualcosa di particolare che hai scoperto sui rapporti tra diverse generazioni di donne attraverso il tuo lavoro?
Ho sempre sentito una forza che mi spingeva verso le storie delle donne, a partire da quelle della mia vita; quando ho cominciato a scrivere – molto presto – ho subito trovato più interessante indagare le relazioni tra donne. Progettare con serietà una newsletter è stata per me l'occasione per dare un corpo, rendere tangibili, le ricerche che porto avanti sulle relazioni tra figlie e madri, reali e immaginarie. Oggi, dopo quattro mesi di articoli, questi rapporti riesco a vederli più chiaramente e li immagino legati da fili colorati, a volte i legami sono evidenti e basta seguirne il tracciato, altre volte è necessario districare la matassa. Se penso alla mia famiglia, ma credo valga per tutte noi, vedo le vite delle donne gravitare in diversi punti dello spazio, ciò che esce in superficie (cosa hanno studiato queste donne, che lavoro hanno svolto, quante creature hanno messo al mondo, che tipo di persona si sono ritrovate accanto) è la parte più facile da decifrare, il sommerso invece è spesso avvolto da strati di polveri sottili, c'è tanto da spolverare. Mi piace immaginarmi come una moderna Mary Poppins delle relazioni figlie/madri: nel confronto tra diverse generazioni, spunta sempre fuori una coltre che funziona da censura, non è semplice parlare di certi argomenti, come la maternità ad esempio, ma ho scoperto che scrivendone riesco a sentirmi più libera e magicamente a rendere più libere anche altre donne. Il messaggio più bello che ho ricevuto in questi mesi di Una figlia per amica me l'ha inviato proprio mia madre: questa puntata per me è stata catartica, ho risalito di un pezzetto il pozzo.
Credi che i media - dai social al cinema, mettiamo dentro tutto - abbiano un ruolo nel creare contrasti (o anche invidia) tra le donne di diverse generazioni?
Appena ho letto questa domanda ho visto Lady Cocca, la madre di Zerocalcare e ovviamente ho pensato a mia madre che mi scrive per dirmi che Google le è sparito o che si ritrova con due profili Facebook. Io sono una persona abbastanza nervosa anche se probabilmente da uno sguardo immediato non si direbbe, somiglio ad una zebra, le hai mai osservate? Sembrano tranquille ma se ti avvicini noti movimenti bruschi della coda e una sorta di vibrazione continua espandersi dal loro corpo. Questo per dirti che di fronte ai quesiti tecnici di mia madre, non riesco a mantenermi calma, dopo anni ho trovato la soluzione: delegare. Il mio dolce marito-programmatore si occupa di gestire le problematiche tecnologiche dei miei genitori. Mi sono chiesta il motivo del mio nervosismo e probabilmente la risposta la posso rintracciare nell'invidia del nuovo, in fondo sono come mia madre, mi sento indietro su tanti aspetti tecnologici, mi rivedo in lei, cambiano contesto e problematiche ma l'inadeguatezza che proviamo di fronte alle novità, a ciò che non ci appartiene, penso sia la stessa. Mi viene in mente un discorso che Elena Ferrante porta avanti nella raccolta L'invenzione occasionale riferendosi alle sue figlie: “Non c'è giorno in cui, appena ho difficiltà col computer o altro strumento elettronico, non intervengono sollecite per ricordarmi che sono dell'epoca della penna stilografica e dei telefoni a gettone, che insomma appartengo al passato (…) la crudeltà degli ultimi arrivati, quando entrano nella fase in cui si sentono i primi venuti al mondo, è necessaria.” I mezzi di comunicazione attraversano i tempi che viviamo, rappresentano delle possibilità, per me sono soprattutto dei terreni che dovremmo imparare a coltivare anche sul piano del confronto. Alcuni lettori e lettrici della mia newsletter hanno settant'anni, io vorrei essere così a quell'età: un'esploratrice dei mezzi di comunicazione, vorrei guardarli con apertura. E quando mia figlia mi tratterà male perché dimostrerò di non saperne nulla sull'ultimo social network, tirerò fuori la macchina del tempo e le racconterò cosa mi chiedeva mia madre.
Penso che dovremmo imparare a spiegare le cose che conosciamo con calma e in modo essenziale perché saremo sempre la Lady Cocca di un'altra persona.
Domanda di rito per chi finisce su Invidiosa: c’è una persona, un progetto o addirittura uno stato d’animo che invidi?
Seguo il filo tracciato nelle precedenti risposte e ti dico che sono una persona altamente sensibile, il nervosismo a fior di pelle me lo sono spiegato anche riconoscendomi in questo tratto della personalità: ho bisogno di molte pause per funzionare bene e soprattutto per conservare la salute mentale, ho bisogno di alternare momenti di socialità a momenti di silenzio. Quindi invidio moltissimo quelle persone che riescono a rimanere attive a lungo senza bisogno di riposare, esistono! Una delle mie più care amiche è così: guida, ascolta musica, socializza, si sveglia presto, fa trekking, non riposa mai di pomeriggio, lavora su turni ed è anche madre. Ecco, la invidio, non potrei mai essere come lei. L'associazione maternità e alta sensibilità meriterebbe un capitolo a parte, però posso dirti che quando ho dato alla luce la mia prima bambina, sei anni fa, ho invidiato molto quelle madri che riuscivano a ricevere visite, parlare al telefono, uscire disinvolte con borse, pannolini, cambi, fazzolettini, quando io i primi tempi ero terrorizzata e, parafrasando Miranda Hobbes, avevo un unico obiettivo da raggiungere a fine giornata: mantenere in vita la mia bambina. Poi ho accumulato esperienza e se è vero che spesso ho invidiato aspetti che non faranno mai parte della mia personalità, è altrettanto vero che l'invidia per me è il più delle volte un'emozione rivelatrice: ha il potere di illuminare i miei desideri più intimi. È per questo che a me l'invidia sta simpatica, la associo a qualcosa di luminoso, che si dirige verso l'esterno. L'invidia per me diventa generativa quando, invece di mantenermi inchiodata, accende una luce piccola e potente su qualcosa che potrei diventare, qualcosa che non c'è ma potrebbe esserci.
Scrivo memoir, non posso lasciarti senza citare almeno un'autrice di memoir di successo: invidio Jennette McCurdy, ex celebrità bambina, ora scrittrice e regista. Il suo bestseller Sono contenta che mia mamma è morta indaga il rapporto con una madre abusante e ripercorre il percorso traumatico dell'autrice, le invidio in particolar modo la capacità di trattare avvenimenti drammatici servendosi di un umorismo nero che riesce sempre a conquistarmi.
Tutta Invidia - Ad alto tasso di pucciosità
Che newsletter sull’invidia sarebbe, senza qualcosa che mi ha fatto rosicare?
Passo una buona parte del mio tempo in mezzo agli altri a capire quanto riesco a essere “pesante”. Mi infervoro con poco, non mi piace scoprire di avere torto e a volte ho il potere di aspirare la leggerezza via dalle conversazioni. Come si diceva in qualche Invidiosa fa, apprezzo e invidio sempre chi riesce ad affrontare temi complessi con una mano e una testa peso piuma.
A finire sotto i miei riflettori questa volta c’è Anna-Laura Sullivan, illustratrice e graphic designer statunitense che ha creato un mondo acquarellato di animaletti adorabili che cercano di capire che senso ha stare nel mondo e che effetto fa amare. Lo so, non è l’ambizione più avanguardistica del secolo. Sullivan però è riuscita a trovare un modo delicatissimo di raccontare quello che scopre. Riesce a trattare problemi “da adulti” con una meraviglia che tendiamo ad associare alla letteratura per l’infanzia. È una prospettiva che mi manca, e sono tanto felice di poterla recuperare nelle sue vignette.
Angela
P. S. Ringrazio Giovanni Nava per le illustrazioni e tutte le cose belle di Invidiosa.
© 2024 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
Se vuoi leggere i vecchi numeri di Invidiosa, trovi tutto in questa pagina.
Grazie aver dedicato un po’ di tempo a me e a questa newsletter. Insieme a te la leggono 221 belle persone.
E noi due, abbiamo qualcosa da invidiarci?
Fammelo sapere con un cuore, un commento o parlando di questa newsletter con chi ti va.
Ti hanno inoltrato questa mail? Iscriviti a Invidiosa.
Finalmente vi leggo anche io, è stato bello, illuminante e nutriente, come siete sempre voi due
"Ai miei tempi..." sono le tre paroline magiche che hanno - per me - "il potere di aspirare la leggerezza via dalle conversazioni." per citare questa Invidiosa. Perché a quel punto mi devo scatenare come un puma, e apriti cielo.
Bellissima riflessione, preziosa. Mi ha fatto sentire meno sola.