Questo è il nuovo episodio di Invidiosa, la newsletter dove parlo delle cose che fanno gli altri mentre io sto a guardare 👋
Okay, sapevo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato. Dopotutto, non ha molto senso fare una newsletter sull’invidia se non sono disposta a mostare quello che provo. Quindi, bando alle ciance: se ti conosco da un po’ di tempo, è molto probabile che io abbia provato invidia verso di te. Magari è stata una cosa fugace, giusto il tempo di sbattere le ciglia. Oppure è stato qualcosa di più profondo, che ho elaborato senza coinvolgerti perché non è esattamente facilissimo (e felicissimo) dire “Ehilà, desidero che questa cosa stupenda che ti sta succedendo accada anche a me ma non so come fare, quindi ti guarderò con astio e sminuirò i tuoi meriti per compensare la mia insicurezza ”. Non proprio da bigliettino dei Baci Perugina, vero? Tra questi due stati ci sono delle sfumature intermedie, ovviamente, ma il paragonarsi è costante.
Non so dire se tutta questa invidia - compresi i diversi gradi di intensità - sia nella media o no (in compenso, ho trovato una bella infografica di Giorgia Lupi). Quello che so è quanto mi sono sentita sporca per aver provato questo sentimento nei confronti delle persone che amavo. Passi la gente che non conosco e che becco su Instagram, ma perché sono così verso chi voglio proteggere e sostenere? Ho invidiato partner, amici, amiche, parenti, compagne di banco e persone con cui ho stretto collaborazioni strettissime. C’è qualcosa di marcio in me se non riesco a mettere la loro felicità al primo posto? La risposta è sì, ma anche no. Prendiamo i vizi capitali per limitare il campo di sentimenti negativi: sono peccati che hanno a che fare con la vita sociale, che hanno ricadute su chi ci sta attorno. In un modo abbastanza ancestrale, quindi, mettere in pericolo la vita in comunità è l’errore più grave che si possa fare. Dall’altro lato, però, quei sentimenti fanno parte dell’esperienza umana: eravamo esseri complessi quando scrivevamo il Libro dei Proverbi, figuriamoci adesso. Limitarmi a bollare la mia invidia come “male” quindi non è solo un modo un po’ da esorcista per gestirla, ma rischia di non risolvere il problema. Crogiolarsi nel rancore non è nemmeno un’opzione: io, qualche anno fa, ero arrivata a uno stadio paralizzante di risentimento.
Il punto - grazie terapia sempre - non è fermare l’invidia: è come sperare di non provare dolore quando si mette la mano sul fuoco. È un allarme, e così va trattato. E quello che si fa in situazioni di “pericolo” è cercare un piano. Io ne ho trovati due: uno lo seguo, l’altro richiede ambizione e un certo coraggio.
Dire “Sì” alla vita.
Sarà la terza o quarta volta che cito il video-saggio sull’invidia di Contrapoints: lo so, sono due ore; e lo so, anche se ci sono i sottotitoli è comunque un video in inglese di due ore. E so anche che concentrarmi solo sulla conclusione raggiunta dal mastodontico lavoro che Natalie Wynn ha fatto sulle fonti è un po’ un crimine. Il succo della cosa, però, è semplice: per quanto esista un sistema e delle condizioni pregresse - anche caratteriali - che mi portano a invidiare, incistarmi su quello che non ho mi lascerà sempre e solo nello stesso punto. Il risentimento non prevede spazi di cambiamento, ma solo di odio. Dire “sì” alle cose, invece, vuol dire ingegnarsi in modo che accadano. Attenzione, lungi da me cadere nella trappola del “se vuoi, puoi”: mi sembra evidente che le variabili sistemiche siano troppe per poter cedere a questa retorica. No, mi riferisco più a un atto di resistenza contro il fascino dell’invidia, trovare una risposta concreta al “non sarò mai la persona che voglio essere”.Fare pace con le emozioni negative.
Esistono, esisteranno sempre e, per prossimità, finirò comunque per provarle anche verso le persone che amo. Quello che devo ricordarmi è che non sono un diagramma a torta. Non sono un contenitore finito dove la fetta di invidia si mangia lo spazio della fetta dedicata all’affetto. Provare certe emozioni mi definisce fino a un certo punto: è il modo in cui scelgo di gestirle che fa la differenza tra quello che odio di me e come sono nel mondo.
Su questo secondo punto vorrei fermarmi un attimo, perché mi rendo conto che non è facile gestire certe nostre brutture con onestà. Nello scorso episodio di Invidiosa ho parlato del rifiuto che ho verso gli errori, e molte più persone di quanto mi aspettassi hanno scritto per dirmi che si sentono allo stesso modo. Abbiamo probabilmente internalizzato un rifiuto dell’errore costante. Invidiare, tra le altre cose, vuol dire aver perso un confronto sociale: quanta forza ci vuole per ammettere che il nostro aspetto, la nostra vita o il nostro carattere sono peggiori o diversi di come li vorremmo? Ecco perché chi invidia tende a smontare i successi altrui, per riequilibrare la propria mancanza. Ma non sarebbe più sano riconoscere ad alta voce che c’è qualcosa che non va?
Giulia Ceirano, la cui intervista troverai tra poco, parlando con la sua community ha detto una cosa molto interessante che mi ronza in testa da tempo. Il tema era: “Come comportarsi con le persone care quando loro stanno vivendo un momento di grandi successi e noi no?”
La sua soluzione, soprattutto in rapporti dove si sa che c’è una certa intimità, è dire ad alta voce come ci si sente. Senza sminuire la felicità, i meriti e l’affetto che proviamo per quella persona, riconoscendo però che siamo in un momento di fragilità tale da non riuscire a gioire quanto vorremmo. E che non c’è niente di male nel chiedere solidarietà, provando a trasformare sensazioni di astio - non necessariamente invidia - in qualcosa di positivo.
Guardo a questa idea condivisa da Giulia Ceirano con stupore, perché l’idea di “parlarne” non mi ha mai sfiorata prima. In una newsletter dove parlo di massimi sistemi è più facile, ma prendermi il tempo per avere un confronto sano no, non sono riuscita ancora a ritagliarmelo. Sono felice però di avere un’alternativa, per la prima volta.
Smontare il tabù: quattro chiacchiere con Giulia Ceirano
In questa sezione parlo di invidia con una persona diversa ogni due settimane. Se vuoi dire qualcosa, hai in mente un tema o vuoi raccontare la tua versione dei fatti, scrivimi. Smontiamo insieme questo tabù.
Giulia Ceirano è un’autrice, content creator e creative strategist. Per mestiere e per passione scrive - principalmente di viaggi, cultura ed editoria - e dà voce a brand e progetti a impatto sociale e ambientale positivo. Mentre lo fa, si muove nel mondo di qua e di là, vivendo principalmente tra Torino e Parigi. Ha una Laurea in Antropologia e Sociologia e un Master in scrittura conseguito alla Scuola Holden di Torino. Oggi collabora con ilLibraio.it, UNESCO, hoppípolla, LifeGate, DOVE, Circolo dei Lettori di Torino e altre storie.
Penso che la tua strategia di sopravvivenza sia un modo sano, lineare ed equilibrato per stemperare un sentimento pesante con persone che amiamo ma rischiamo di ferire. Come avete trovato, tu e il tuo gruppo, questa soluzione così trasparente?
Allora, faccio una premessa: io mi sono sempre mossa tanto, non sono rimasta nella mia città d’origine o dove ho studiato quindi non ho un unico gruppo di amici. Ho più amicizie singole e sparse in giro per il mondo quindi non abbiamo uno spazio unico dove parlare e fare le nostre considerazioni o confessioni quotidiane. Tutto questo per dire che la modalità di gestione dei momenti difficili è venuta fuori negli scambi singoli e in modo molto naturale. Non c’è stato bisogno di definirla a tavolino e pensare a una strategia per riuscire a starci vicini al meglio. Nonostante questo, è stata una risposta immediata con quasi tutte le persone che mi sono più vicine. La prima volta in cui ho valutato che potesse essere una buona strada è stato circa cinque o sei anni fa. Io e le mie amiche eravamo in quella fase della vita in cui si finisce di studiare e iniziano i primi lavori, e io ero in un periodo molto buono: il lavoro andava come volevo, ero felice, guadagnavo bene ed ero appena andata a vivere da sola. Allo stesso tempo, una mia amica stava vivendo in un momento molto critico rispetto a questi temi: il lavoro non stava ingranando e aveva un po’ di problemi con la casa. Insomma, le stesse cose che mi davano gioia per lei erano dei punti critici. Mi rendevo conto che, parlandogliene, non ricevevo il supporto o la condivisione che speravo ma capivo benissimo anche perché: i miei racconti andavano a toccarla sul vivo. Abbiamo capito, insieme, che qualcosa non stava funzionando. Così a un certo punto ci siamo parlate: io ho riconosciuto che in quel momento le era difficile trovare l’energia per starmi accanto, e lei mi ha spiegato che certi miei racconti la facevano stare male. La soluzione? La nostra amicizia era sempre stata un porto sicuro per mille mila motivi, ma sapevamo che quei temi erano troppo delicati: così li abbiamo messi in stand-by. Per affrontare un momento no in un rapporto di amicizia credo sia fondamentale la trasparenza, che deve esserci a monte. Devi sentirti nella condizione di poter dire “qualcosa che non va, ne parliamo?”
Mi sono trovata in situazioni simili anche dopo questo dialogo, e devo dire che a volte non c’è stato nemmeno bisogno di sedersi e dire “okay, meglio se questo tema per un po’ lo lasciamo stare”, lo abbiamo fatto e basta. Per me è davvero un buon equilibrio tra l’essere presenti e il non farsi male: siamo umani, non siamo sempre emotivamente disponibili ed è giusto rispettarsi a vicenda.
È mai capitato che l’invidia ti facesse allontanare da una persona o viceversa (che tu sappia, ovviamente)?
Allora io tendo a non essere una persona invidiosa, anzi. Quando vivo momenti di difficoltà o quando non mi sento capita, mi chiudo abbastanza su me stessa. Non voglio guardare agli altri perché non voglio farmi vedere: rompo l’invidia a monte, perché tiro su una barriera e tengo il resto fuori. Certo, questa cosa mi fa male sotto un sacco di punti di vista, però mi protegge dall’invidiare. Quindi no, non mi è mai capitato di allontanarmi da una persona perché la invidiassi. Così come, per i rapporti davvero importanti, non è mai successo il contrario. Può essere capitato con rapporti più superficiali, ma onestamente non saprei dirti: se è andata così, io non mi sono nemmeno accorta se si sono spezzati o no per l’invidia. A pensarci bene, potrei aver vissuto questa cosa con un’amica stretta un po’ di tempo fa: stava attraversando un periodo piuttosto complicato e credo patisse me in generale; non so bene perché, nel senso che io stavo vivendo un periodo molto normale. Però, appunto, l'invidia non è razionale, quindi probabilmente lei vedeva in me alcune delle cose su cui in quel momento stava lavorando. Così, nel giro di poco tempo, ci siamo proprio perse e non ci siamo più sentite per tantissimo - quasi due anni forse - finché un giorno lei mi ha scritto in quello che per me era un momento di difficoltà e abbiamo ricominciato ad avere un rapporto. C’è voluto tempo, certo, ma durante quella pausa entrambe abbiamo fatto un percorso: io, per esempio, ho lavorato molto di più sull'essere meno egoriferita e meno arrogante, cose che magari le hanno giustamente dato fastidio; lei, invece, ha lavorato su alcuni sui punti irrisolti e questo ci ha permesso di ritrovarci. In generale io credo che l’invidia, come dice la mia terapista, non sia da condannare. Esiste, ed è una delle risposte naturali che le persone hanno nei confronti del mondo. Per me rimane comunque un’emozione distante proprio perché tendo a chiudermi a riccio e faccio un po’ fatica a relazionarmi con persone invidiose: è qualcosa che conosco poco e mi mette molto in soggezione. Però voglio pensare che, parlando di persone care, ci sarà sempre la giusta intimità per discuterne. In quelle occasioni l’invidia può diventare anche un modo per conoscersi meglio.
Prendiamo, per esempio, l’invidia che i nostri genitori possono provare per noi: è una cosa di cui parlo spesso con la mia terapista, che mi spiegava quanto sia effettivamente un sentimento diffuso. Ecco, questa sì che è una cosa interessante: un genitore ti ama e non può che essere felice per i tuoi successi; dall'altra parte, spesso, parte un movimento contrario dove il genitore dice “perché io no?” Quello potrebbe essere un buono spazio per riuscire a dialogare, magari andando a fondo sia nel rapporto che in tutti quei desideri ai quali i genitori sentono di aver rinunciato. Insomma, l’invidia può creare ottimi punti di contatto.
Okay, so che non provi invidia ma questa domanda non posso non farla: c’è una persona, un progetto o anche uno stato d’animo che invidi?
Come ti dicevo non guardo troppo fuori e non giudico troppo il lavoro degli altri perché tendo sempre a proteggermi, ma ci sono progetti che stimo tantissimo e che posso solo ammirare. Scegliendone uno, ti dico “Da costa a costa” di Francesco Costa, perché secondo me è riuscito a fare della sua passione un lavoro senza perderla, quella passione. È proprio un progetto cucito su di lui e mi sembra che ci stia davvero bene. Al netto del fatto che credo lavori tantissimo per riuscire a fare tutto, lui è stato bravissimo a creare un progetto così tanto legato alla sua figura. Non me la sento di dirti che lo invidio come persona, ma in generale faccio proprio fatica a pensare a una vita per me invidiabile: non mi esprimo sui social – alla fine, è sempre solo una parte della realtà quella che vediamo -, e se mi guardo attorno tutte le persone che ho accanto hanno delle vite bellissime e io sono molto fiera di loro, ma la mia vita mi piace esattamente com’è. Invece c’è uno stato d'animo che vorrei per me, ed è quello della leggerezza: prendersi meno sul serio, riuscire a non avere sensi di colpa nei confronti di cose stupide e non entrare in ansia per cose che non lo meritano. Non è superficialità, ma solo riuscire ad affrontare il brutto con calma. Ecco, in questo periodo di grandi ansie la leggerezza è lo stato d’animo che invidio di più.
Tutta Invidia - Doctor Jones
Che newsletter sull’invidia sarebbe, senza qualcosa che mi ha fatto rosicare?
Da bambina, le risposte alla domanda “Cosa vuoi fare da grande"?” erano almeno tre - non so se per ambizione o per indecisione: attrice, scrittrice e archeologa. Le prime penso fossero colpa delle recite scolastiche, vista la mia faccia tosta nel correggere i copioni delle maestre e il gran privilegio di aver recitato nel ruolo di Giulietta allo spettacolo della scuola materna. Il terzo lavoro, invece, è da attribuire a Indiana Jones e alla mia ossessione per la mitologia greca (i miei avevano questa raccolta di Luciano De Crescenzo e illustrata da Milo Manara che mi portavo sempre in giro). Non ero solo innamorata di Indi. Io volevo essere lui, volevo una vita accademica divisa tra il recuperare artefatti perduti e combattere i nazisti. Quando poi ho visto Atlantis (film sottovalutatissimo), l’idea di conoscere lingue antiche - possibilmente morte - mi ha fatta impazzire, perché rendeva più concreta la possibilità di riportare in vita un mondo ormai finito. Così ho scelto il classico, ho studiato greco e latino, ho realizzato di non essere brava quanto l’accademia richiedeva e cambiato strada.
Ascoltare “L’invasione”, il podcast del Post di Luca Misculin e Riccardo Ginevra, ha riportato a galla tutti questi desideri, un po’ accantonati, un po’ naturalmente ridimensionati nel tempo. Misculin e Ginevra ricostruiscono com’è arrivato il protoindoeuropeo, la lingua antenata di quelle che parliamo oggi, in Europa e com’è possibile che abbia tanti contatti con l’indi, la lingua più parlata in India oggi. Per farlo hanno tirato dentro esperti ed esperte in archeologia, linguistica, genetica e lo stesso protoindoeuropeo, cercando di capire cos’è successo 5000 anni fa dalle nostre parti. È un lavoro che avrei voluto fare io? Sì, tantissimo. Li invidierai per questo? Certo, amandoli profondamente.
Angela
P. S. Ringrazio Giovanni Nava per le illustrazioni e tutte le cose belle di Invidiosa.
© 2024 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
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Grazie aver dedicato un po’ di tempo a me e a questa newsletter. Insieme a te la leggono 127 belle persone.
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