Questo è il nuovo episodio di Invidiosa, la newsletter sulle cose che fanno gli altri mentre io sto a guardare. La pausa è finita, e che bello rivederti 👋
Era il 12 luglio 2024, un normale e prevedibile giorno estivo. Lavoravo, sudavo stando ferma e non avevo chissà quali aspettative sulla giornata e sulla vita. Di sicuro non avrei mai pensato di andare a dormire vedendo ovunque la copertina dell’amica geniale - il primo libro della quadrilogia di Elena Ferrante.
Il New York Times infatti, chiedendo il parere di gente che vive di libri, l’ha eletto come “migliore libro del primo quarto di secolo”. Mi sono sentita come se avesse vinto mia madre o mia sorella maggiore, praticamente. L’amica geniale è stato un punto di non ritorno per la letteratura italiana e ha avuto un impatto culturale con il quale continueremo a fare i conti per anni. È il racconto del femminile senza filtri, familiare e completamente sconosciuto allo stesso tempo. Capisco che l’amore degli Stati Uniti insospettisca, ma il rischio di folklore con questo libro non esiste.
Certo, quella del NYT è una classifica con grandi limiti (aver scritto o avere il libro tradotto in inglese ha pesato tantissimo). E - ma questo vale per ogni classifica - la sua autorevolezza è relativa. In questo caso, però, all’ondata di gioia è seguita una valanga di distinguo e di critiche, principalmente maschili. Non starò qui a raccoglierle tutte ma il succo era: L’amica geniale è un romance che ha venduto bene. Questa critica, però, funziona un po’ come il meme dell’iceberg: se la punta si vede bene, sott’acqua c’è un gran sommerso.
Perché attaccare le vendite non è solo mettere in dubbio la qualità (vendere tanto è un sinonimo di letteratura bassa, per una certa critica), ma serve anche a sollevare il problema del marketing, del target e dello “storytelling” che si fa attorno a un’opera. Insomma, per molte persone L’amica geniale vale “poco” perché il successo che ha ricevuto è dovuto quasi solo a una buona campagna di marketing. E quali sarebbero gli elementi che hanno funzionato di questa campagna? Proverò a riassumere: è una storia che parla di donne, è scritta da una donna ed è pubblicata da una casa editrice co-fondata da una donna in un Paese dove leggono più donne in un periodo dove, sembra, ci sia una grande sensibilità quando si parla di donne.
Questa “strategia” è stata denunciata da Antonio Gurrado sul Foglio, giornale che vanta altri straordinari pezzi di critica letteraria/sociologica dove Camillo Langone collega la denatalità italiana al fatto che le donne leggono troppo. Per Gurrado la vittoria di Ferrante è “scontata” in quanto, “donna: unica caratteristica editoriale che permetta di sopravvivere”. Le classifiche di narrativa, infatti, sono dominate dalle donne perché le lettrici donne non saprebbero distinguere tra, cito ancora, “verità e intrattenimento”. Gurrado prosegue dividendo le scrittrici in tre “faldoni” creati da lui stesso: “io sono Malala” (per le scrittrici con uno spiccato impegno civile), “io sono malata” (per le scrittrici che indagano aspetti più morbosi e patologici della loro psiche e dei loro corpi) e “io sono maiala” (categoria che puoi facilmente immaginare). L’amica geniale racchiude tutte e tre queste caratteristiche e “al pubblico non piace fare fatica”: ecco spiegato il successo.
Questo articolo non è un caso isolato. Arriva dopo mesi di incursioni, frecciatine, lamentele: Walter Siti che, parlando del Premio Strega, spiega che dopo la seconda vittoria di una donna in due anni si tornerà a un regime di normalità; Gianni Bonina, su doppiozero, critica La Portalettere di Francesca Giannone accusando le scrittrici di occuparsi solo di romance (qualcuno corra a dirlo a Domenico Starnone, per favore). Chiude il cerchio sempre il Foglio con Langone, avvilito perché le donne “hanno occupato le case editrici ma non hanno più nulla da dire”.
Ora, io in questo anno e mezzo di newsletter ho capito una cosa: bollare una critica dicendo che “è tutta invidia” è superficiale. O meglio, racconta solo una parte di un problema. Ma questo non vuol dire che l’invidia non esista, e in occasioni come queste è evidente. Perché se anche quello delle scrittrici fosse “solo” un trend momentaneo - e non lo è -, ma finalmente!
Era ora che le scrittrici si prendessero gli spazi, i premi, i riconoscimenti e i soldi che fino a cinquant’anni fa erano riservati a scrittori, critici e professionisti dell’editoria. Era ora che le storie delle donne, come ha giustamente scritto Alessia Ragno parlando di Edna O’brien qualche giorno fa, fossero scritte da donne.
E la reazione di molti uomini, fin qui, ha seguito il manuale degli invidiosi: sminuisci (è un romance), esternalizza la colpa (il pubblico non sa più leggere) o i meriti (le donne leggono solo donne) e ritagliati un piedistallo di superiorità morale (a me le vendite non interessano, a me interessa la bellezza o la verità). Non è facile perdere un privilegio, nessuno dice questo. Ma se questa è la reazione a un cambiamento anche piuttosto prevedibile, c’è da fare attenzione, perché è ha un peso politico.
Qualche mese fa - poco prima di una stagione elettorale che avrebbe investito più o meno tutto il Pianeta - è uscito un articolo dell’Economist intitolato “Why are young men and women drifting apart”: è vero che, nelle generazioni più giovani, la polarizzazione politica sta crescendo tra ragazze e ragazzi? E quali sono i motivi? Secondo i sondaggi dell’Economist, dal 2020 la distanza politica tra giovani uomini e donne è cresciuta praticamente il doppio rispetto a quella tra chi ha una laurea e chi non ce l’ha. Di base, sembra che le ragazze siano più a sinistra - o in generale su posizioni progressiste - mentre i giovani uomini stanno diventando sempre più conservatori (anche rispetto alle generazioni precedenti). Le ragioni possono essere varie: le donne laureate sono di più, quindi rispetto ai loro coetanei ottengono lavori migliori prima; oppure, con la prospettiva di due persone in famiglia che lavorano, sempre più giovani donne vogliono che il lavoro di cura sia diviso equamente; o ancora, i social tendono a polarizzare le opinioni e le visioni del mondo.
Anche se non tutte le analisi sono d’accordo con questa prospettiva, - che ha dei limiti e questo articolo del Post lo spiega molto bene - c’è un’altra indagine abbastanza inquietante dell’Economist che arriva dalla Corea del Sud. A differenza dei Paesi occidentali, dove questa divergenza è un po’ più ambigua (vedi i risultati delle ultime elezioni in Germania), in Corea del Sud la competizione lavorativa tra uomini e donne sta diventando sempre più violenta e ha un peso politico concreto. Già nel 2021, il 79% dei ventenni sudcoreani credeva di essere vittima di “discriminazione al contrario” rispetto alle coetanee. Un grosso ruolo lo gioca anche la leva militare obbligatoria solo per gli uomini, che di fatto viene percepita come un’ingiustizia di genere: dato che la guerra non è più una questione esistenziale, la leva fa perdere loro tempo, competenze, occasioni di lavoro. Allo stesso tempo, l’idea che certi ruoli abbiano un genere ben definito è radicata: in un sondaggio IPSOS del 2023, il 72% degli uomini sudcoreani si è detto d’accordo con l’affermazione per cui “un uomo che sta a casa per prendersi cura dei figli è meno uomo”. Nel 2022, l’attuale presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol ha costruito una grossa fetta della sua campagna elettorale sull’idea che il femminismo stia “facendo male a un sano rapporto tra uomini e donne”.
Spostiamoci dalla parte delle donne: la Corea del Sud è uno dei Paesi con il più alto gender pay gap, il divario salariale tra uomini è donne: il 31%. Questo nonostante sempre più donne facciano parte del mondo del lavoro. Ed è di qualche settimana fa la scoperta di una chat Telegram con circa 220.000 utenti il cui unico obiettivo era scambiarsi video deepfake: film porno dove l’intelligenza artificiale sostituiva i volti delle attrici con quelli di donne presi online, dai loro profili social (sono state coinvolte anche delle minorenni).
Questa situazione sta avendo un gigantesco impatto anche sulle relazioni tra uomini e donne: ci si sposa sempre meno, sempre più tardi, e si fanno sempre meno figli. A inizio 2024, solo il 34% di donne sudcoreane sui trent’anni pensa di fare figli. Il tasso di fecondità - cioè il numero medio di figli per donna - in Corea del Sud è 0.71. Quello dell’Italia è 0.75. E quando si leggono dati del genere, il sospetto che non si vogliano fare figli con compagni di cui non ci fidiamo e che, quando le cose ci vanno bene, ci invidiano è abbastanza legittimo.
Potrebbe sembrare un paragone un po’ tirato per i capelli, ma più dell’economia spesso fa la cultura. Ne aveva scritto molto meglio di me
nella newsletter Servizio a domicilio qualche mese fa, rispondendo a un intervento un po’ “magnifiche sorti e progressive” di Francesco Costa nel podcast Morning a proposito della denatalità e della paura del futuro.Tra l’invidia per il successo delle donne e un raggomitolamento reazionario di molti uomini c’è un legame: prima lo riconosceremo, meglio sarà per chiunque.
La prospettiva non è esaltante. E lo so, l’invidia non si cancella con un colpo di spugna. Ma qualche mese fa ho visto una piccola storia che potrebbe dare una direzione. Non dico speranza, ma un’indicazione su dove e come muoversi. Sto parlando del finale dell’ultima stagione di Bridgerton. Mi permetterò qualche spoiler.
Dopo anni di anonimato, l’alta società inglese scopre chi è finalmente la persona che si nasconde dietro tutti i gossip della stagione matrimoniale: Penelope Featherington, la timida vicina di casa della famiglia protagonista della serie (i Bridgerton). Colin Bridgerton, aspirante scrittore, è devastato dalla notizia: apparentemente perché Lady Wistledown (lo pseudonimo) ne ha scritte di cotte e di crude, ma nella realtà dei fatti - e lo conferma lui stesso - perché Penelope è duecento passi avanti a lui e potrebbe mantenersi da sola scrivendo. Il dramma si risolve quando Colin dice, ad alta voce, “ero invidioso di te, Penelope. Del tuo successo. Del tuo coraggio. Oggi, semplicemente, non riesco a credere che una donna come te ami me.” Il desiderio di collaborazione, di amore e di vicinanza con una persona invidiabile è più forte dell’invidia stessa.
Lo so, è solo una storia. Ma storie come questa, in un periodo dove tutto è polarizzazione e risentimento, servono. Il punto è: come le facciamo arrivare a chi è disposto ad ascoltarle?
Tutta invidia - La prospettiva che serve
Che newsletter sull’invidia sarebbe senza qualcosa che mi ha fatto rosicare?
Io odio nuotare. Odio sentire l’acqua dentro il naso, il non poter respirare quando ne ho bisogno, i capelli incrostati di cloro e scoprire di aver dimenticato le mutande quando ormai è troppo tardi. A mare faccio giusto due bracciate, quello che basta per evitare un colpo di calore. Sto benissimo sulla terra ferma, davvero.
Questo odio, però, mi ha sempre fatto provare una grande ammirazione per chi invece nuota bene, tanto e magari anche velocemente. Non c’è nessuna invidia, paradossalmente: trovo così inconcepibile l’idea di fare avanti e indietro in acqua, col rischio di crampo dietro l’angolo, da guardare con grande rispetto chi si accolla tutta questa fatica.
A maggior ragione, ho invidiato molto la maturità di Benedetta Pilato davanti a quel quarto posto per un “centesimo stronzo”. Non solo Pilato ha fatto una cosa che per me è da alieni con le branchie, ma ha messo quella medaglia di legno in prospettiva e ha detto “ehi, guarda che qui fino a un po’ di tempo fa non ci saresti nemmeno arrivata”. Ecco, io a volte la prospettiva non so nemmeno cosa sia. Affronto le cose in un bidimensionale “qui e ora” che rende ogni fallimento gigantesco e tragico. So che è una storia ormai passata e confrontare i piccoli inciampi quotidiani con un quarto posto in un’Olimpiade è insensato, ma vedere così tanta consapevolezza sul proprio percorso mi ha fatto venire voglia di imitare Benedetta Pilato. Per invidia, sì, ma di quella buona.
P. S. Ringrazio Giovanni Nava per le illustrazioni e tutte le cose belle di Invidiosa.
© 2024 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
Se vuoi leggere i vecchi numeri di Invidiosa, trovi tutto in questa pagina.
Grazie aver dedicato un po’ di tempo a me e a questa newsletter. E visto che sei qui, abbiamo qualcosa da invidiarci?
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Che bello, è tornata Invidiosa, e direi col botto! Bentornata Angela❤️ e grazie per tutti questi spunti, link e articoli. Ma soprattutto grazie per aver messo in fila (e in prospettiva) tanti puntini di questi mesi: per me l’intellettuale fa questo, come servizio alla comunità. Te ne sono grata!
Grazie a te per aver visto l'ultima puntata di Penelope ❤️