Un episodio particolare
Si parla di un libro, di identità e di dove può portarci l’invidia.
Questo è il nuovo episodio di Invidiosa, la newsletter sulle cose che fanno gli altri mentre io sto a guardare 👋
“A te non fa paura l'idea di una vita normale, ti fa paura la prospettiva che una vita normale possa svelare la tua mediocrità.”
Da quando ho iniziato a scrivere questa newsletter ho una sensazione che non riesco a scrollarmi di dosso. Non c’è nessun dato o ricerca a supporto di quello che sto per dire, ma credo che la mia generazione - millennials, che ricordi eh? - sia quella che ha costruito il rapporto peggiore con l’invidia. O meglio, è quella che soffre di più il suo peso psicologico.
Tutte le persone invidiano, e lo fanno a prescindere da cultura, classe, religione, istruzione e sesso. La mia percezione, però, è che chi gravita intorno ai trenta passi molto più tempo a confrontarsi e misurarsi con “altro”, finendo per chiedersi se è normale farlo o se sta inseguendo una vita che non gli o le appartiene. Ripeto, magari è una mia sensazione. A pensarci bene, però, alcuni dei prodotti culturali più rilevanti per la mia generazione - o in generale, di successo - riguardano sempre trenta qualcosa con un certo livello di risentimento verso il contemporaneo, saltano fuori sempre 30 qualcosa: Fleabag, Rory Gilmore (quella più recente), quasi tutto quello che scrive Lena Dunham, Vincenzo Latronico o Sally Rooney.
Avevamo delle aspettative troppo alte? Tra infanzia e adolescenza c’era un ottimismo che è stato smentito a colpi di crisi, inflazione, pandemia ed estrema destra che avanza? Oppure, crescere tra analogico e digitale ha creato uno spartiacque troppo grande tra quello che “vediamo” e quello che “possiamo”?
L’unica cosa che so è che queste domande hanno iniziato a suonare come l’allarme nazionale sul telefono quando
mi ha girato questa citazione:“Sentii un peso sul petto, un nodo in gola. Pensai: io sono invidiosa di tutti, sempre. Continuamente invidio i sicuri di sé, i belli, i ricchi, i felici. Sono piena di veleno per i privilegi degli altri, e invidio anche i loro meriti. Spero che Liz perda tutto quello che ha. Fu allora che squillò il telefono”
Arriva da Tangerinn, il libro di esordio di Emanuela Anechoum che vorrei raccontarvi in questo episodio.
Il Tangerinn è un bar di una città del Sud Italia dove Mina ritorna dopo l’improvvisa morte del padre. Lei vive a Londra: è andata via un po’ per cercare di capire chi è, un po’ per a casa si sente soffocare.
Il paese piccolo, il senso di colpa verso la sorella iper responsabile, quel padre adorato ma così riservato da sembrare uno sconosciuto. Il risentimento verso la madre, che tutto è tranne quella figura di cui Mina avrebbe bisogno. Il razzismo e la diffidenza dei conterranei verso la famiglia mista, il pizzo e la fatica di trovare un posto nel mondo per chi approda su quelle spiagge. La sensazione di essere perennemente fuori posto, incapace di definire la sua identità o i suoi desideri. Il bisogno di sparire per avere la serenità di non riconoscersi in nulla.
“Invidia. È un sentimento tossico, non credi? Non puoi capire quanta gente mi scrive dicendomi che invidia il mio corpo, il mio senso estetico, i miei soldi, la mia vita. E poi sulla base di questo finiscono sempre per insultarmi. Ogni persona che mi invidia finisce per darmi della troia. Che ne sanno loro di me, alla fine? Che persona sei se vuoi che gli altri non abbiano ciò che tu desideri? È immorale. Se guardi gli altri come dovresti guardare te stessa significa che hai un qualche vuoto incolmabile dentro, no, qualcosa di triste concluse, e bevve un sorso di vino, studiando con i suoi occhi chiari la mia reazione attraverso il bicchiere. A casa nascondeva dello Chardonnay scadente che amava bere da sola con dei cubetti di ghiaccio.”
Qui parla Liz, coinquilina e oggetto principale dell’invidia di Mina. Liz è - per farla semplice - tutto quello che Mina non è: ricca, bellissima, totalmente in controllo della sua immagine e delle sue contraddizioni. In qualche modo, sembra che Mina agisca e si muova (nella sua vita) per il semplice fatto che Liz esiste. Raggiungerla, avvicinarsi e provare a tirarla un po’ più in basso, più vicina al proprio gradino; o cercare di alzarsi, tirando e strappando, è il modo più naturale per Mina di assomigliare alla sua idea di vita perfetta: Liz.
Ma da dove arriva tutto questo vuoto? Direi, banalmente, dallo stare al mondo in un groviglio di contraddizioni. Mina è un personaggio dal carattere definito e non è facile identificarsi con lei, ma quella rabbia e quella frustrazione le ho sentite tutte. L’incapacità di sentirsi al proprio posto e di vivere sdradicate, non solo da un posto ma da un più grande senso di comunità e identità. Mina ha un’idea precisa di quello che è “giusto”, e in qualche modo è sempre qualcosa che non le appartiene.
“Una volta una maestra mi aveva detto che ero come il motore di una Ferrari in una Panda. Potenziale sprecato. Forse intendeva spronarmi a impegnarmi di più, ma ai tempi io avevo interpretato quell'affermazione come un fatto immutabile, suggellando il sospetto nauseante di essere un'aliena: il mio involucro era sbagliato e il mio motore si sarebbe rotto.”
E poi c’è l’identità di Mina. O meglio, l’identità che Mina fatica tantissimo a trovare. La spaesamento della protagonista, infatti, nasce anche da una grande diffidenza che la società in cui cresce ha verso la sua famiglia. Così Mina cresce strappata tra due pulsioni: quella di adattarsi e quella di conservarsi. Quando sceglie definitivamente di adattarsi, però, niente combacia con la vita esteriormente “uguale alle altre” che prova a costruire. C’è sempre un tarlo che la riporta a Omar, al passato misterioso del padre che probabilmente le assomiglia più di quanto entrambi abbiano mai.
“È pericoloso, lo imparasti solo dopo, essere consapevoli del proprio potenziale inespresso: si tende a idealizzare tutte le vite non vissute e a odiare l'unica che conta davvero, la vita che hai. È una cosa che ti mangia dentro.”
Credo che la bellezza di questo libro stia nell’individuare con precisione chirurgica l’origine del dolore e di tracciare questo stato d’animo con tutte le parole necessarie. Anche brutali, anche insoddisfacenti. Emanuela Anechoum ha fatto questo lavoro con un coraggio e un’onestà evidenti, perché per scavare dentro questo sentimento ci vuole un bella armatura contro il bisogno istintivo di ripulirsi, di andare subito a espellere questa impurità. Più leggevo e più mi ha ricordato la “terribile” Scrittice di Teresa Ciabatti in “Sembrava bellezza”: Mina e la Scrittrice sono due donne che non hanno paura di guardare in faccia la loro oscurità, e io ho capito che ho bisogno di più letteratura così. Perché ho finalmente un confronto pari, che parla alle mie ombre e che fa respirare la mia vergogna.
Anechoum però, a differenza di Ciabatti, riesce a ipotizzare una soluzione che non chiude nulla, ma apre delle possibilità. Non saprei dire se è una soluzione che vale per chi si sente come Mina, ma è la strada più naturale per il percorso che ha fatto. Se vorrai leggerlo, non vedo l’ora di parlarne anche con te.
Smontare il tabù: quattro chiacchiere con Emanuela Anechoum
In questa sezione parlo di invidia con una persona diversa ogni due settimane. Se vuoi dire qualcosa, hai in mente un tema o vuoi raccontare la tua versione dei fatti, scrivimi. Smontiamo insieme questo tabù.
Emanuela Anechoum è nata a Reggio Calabria nel 1991 e vive a Roma. Dopo gli studi ha iniziato a lavorare nel mondo dell’editoria, prima a Londra e poi in Italia, dove si occupa di foreign rights. Ha scritto per VICE, doppiozero, Marvin Rivista. Tangerinn è il suo primo romanzo.
L’invidia è uno dei sentimenti centrali di Tangerinn, a volte anche un po’ il suo motore immobile. Credi questo stato appartenga solo a Mina o lo condividi anche tu? O addirittura, siamo una generazione invidiosa?
Io credo che l’invidia appartenga a tutti – come tutti i sentimenti umani, c’è sempre stata e ci sarà sempre, allo stesso modo in cui tutti proviamo rabbia, tristezza, delusione, gioia. Il problema dell’invidia è che non sappiamo riconoscerla, processarla, comunicarla in modo sano – una mia cara amica dice sempre che l’invidia vera è quella che non sai di provare, quando guardi una persona e pensi ‘non si merita quello che ha’ senza capire che in realtà tu desideri quella stessa cosa. È un sentimento legato al desiderio, e quindi forse ciò che la inasprisce è il sistema capitalistico, per cui il piacere è consumo materiale – e i social sono la vetrina di tale consumo, e quindi specchio dei nostri desideri. Ma il nodo credo, sia per me che per Mina e forse per altri, è che siamo talmente bombardati dalla possibilità del consumo che non sappiamo cosa desideriamo: rimaniamo incastrati in questo circolo vizioso di voglie in potenza e di sentimenti incancreniti. Non penso che l’invidia sia necessariamente più presente in Mina che la rabbia, la solitudine o la tristezza, solo che salta all’occhio proprio perché lei non sa che farsene, se ne vergogna, la nasconde, e non sa neppure a cosa sia legata esattamente. Sì, invidia Liz perché è ricca, ma Mina come li userebbe quei soldi? Cosa vuole davvero? Sono desideri fini a sé stessi, senza progettualità.
Io mi sono resa conto in terapia di quanto mi lasciassi influenzare dall’immagine che gli altri proiettano – tendo a crederci, a mettere le persone su un piedistallo. Anche questa in qualche modo è invidia: mi ritrovo spesso a pensare che gli altri abbiano una vita migliore, più interessante o più ricca della mia. Nessuno è immune al fascino della narrazione che i social permettono di costruire.
Mina invidia molto anche perché non riesce a capire chi è, a trovare un’identità. Mi racconteresti un po’ del processo che ti ha fatto collegare questi due stati d’animo?
La prima cosa che mi sono chiesta nel costruire il personaggio è stata: come affronta la vita una persona che non ha una passione?
Ci sono dei motivi sensati per cui Mina si sente persa: i genitori erano entrambi assenti in modi diversi, e lei era la figlia minore di una famiglia mista che non le aveva dato solide basi su cui costruire la propria identità. Aisha aveva aderito al padre – scelta saggia, prudente, ma che Mina non avrebbe potuto replicare: da adolescente per sapere chi sei devi sentirti ‘altro da’. Ma quando non conosci neppure chi ti definisce per contrasto, navighi nel buio. Da qui sono partita: Mina è una pagina bianca. Se avesse avuto una passione, un desiderio, un piacere, avrebbe potuto far girare la sua personalità attorno a quello – ma lei non ha ancora trovato quel perno. In questo senso l’esplorazione che vediamo nel romanzo va in due direzioni: cercare di capire chi fosse Omar le serve per avere il riferimento da cui staccarsi – una nave non può partire che da un porto – e la città le serve per capire cosa diventare. Peccato che la città, come sappiamo, è uno specchietto per le allodole, è il paese dei balocchi, in cui è troppo facile farsi dire cosa desiderare, troppo facile allinearsi senza conoscere mai davvero né gli altri né noi stessi.
È qui che entrano in gioco Aisha e Nazim, e poi Rashid – che in modi diversi la mettono davanti a sé stessa.
A proposito, parliamo di loro due: sembrano provare meno risentimento di Mina. Come mai? Hanno trovato un modo per esserne immuni o le loro preoccupazioni sono diverse da quelle di Mina?
Mi pare che fosse Zadie Smith in Swing Time (potrei sbagliarmi, non ho controllato) a dire che l’invidia è in qualche modo una mancanza di empatia, di immaginazione: quando invidiamo qualcuno non riusciamo a vederne le fragilità, le bruttezze. Mina prova invidia per Aisha perché ha potuto passare più tempo con Omar, ma forse anche per l’immagine che proietta, di una donna che dà il proprio tempo agli altri. Mina si sente in colpa, si sente egoista rispetto a lei – ma sicuramente anche Aisha prova risentimento per la libertà di Mina, per la sua immagine ‘cosmopolita’ – solo che la voce di Mina ci impedisce di accedere alla sfera intima degli altri personaggi, perché Mina è alienata e fa fatica a empatizzare. Il punto di vista di Mina nella storia è inquinato dai suoi sentimenti, è inaffidabile, falsato, incompleto: noi lettori siamo vittime della manipolazione che Mina fa della realtà attorno a lei, e anche delle persone che la abitano. Nei dialoghi questo aspetto stride e tenta di fuoriuscire: Aisha è sarcastica, a volte pungente, e sappiamo che ha sofferto l’abbandono della sorella. Sotto tutto il resto, anche lei è arrabbiata – ma è anche felice di riavere indietro sua sorella, e ha imparato per necessità a cercare il compromesso.
Nazim è un altro discorso: sicuramente lui prova risentimento nei confronti della sua esperienza a Cambridge, e tutta una serie di sentimenti contrastanti nei confronti dell’occidente. Non ha gli stessi dubbi identitari di Mina, ha altri problemi, che però non sono gerarchicamente più o meno ‘giusti’ dell’invidia di Mina – proprio perché è un sentimento come un altro, che non si evita e non si premia, in cui si incappa quando capita.
Una domanda che faccio a tutte le persone che passano da qui: c’è una persona, un progetto o addirittura uno stato d’animo che invidi?
Io invidio un sacco di cose continuamente, e cambiano a seconda del momento: fino a qualche tempo fa per esempio invidiavo le persone che hanno una fede genuina. Credo possa essere un grande conforto, che io non ho mai provato. Invidio chi vive nella stessa città dei propri amici di sempre, e allo stesso tempo, per motivi diversi, chi vive lontanissimo da tutto e da tutti. Invidio le persone che amano fare sport, chi sa cucinare dolci, e poi invidio sempre sempre sempre chi si può permettere le cose che io non mi posso permettere. Però la mia è un’invidia pacificata, perché la mia vita mi piace e non la cambierei davvero – l’invidia per me è una sorta di esplorazione delle altre strade possibili, che non ho percorso e che non potrei percorrere. Non lascerò il mio lavoro per darmi a qualcosa di più redditizio, e non lascerò i miei amici per fare la nomade digitale. Questo non significa che quando qualcuno mi manda foto da un coworking in Thailandia non mi venga quel solletico alla bocca dello stomaco… Non sono così illuminata da vivere secondo il ‘quello che non ho è quel che non mi manca’, però tutto sommato quello che ho lo amo molto, e quindi l’invidia viene e va come ogni altra cosa, ma quello che resta è quello che scelgo.
Tutta Invidia - I progetti, quelli belli
Che newsletter sull’invidia sarebbe, senza qualcosa che mi ha fatto rosicare?
Qualche settimana fa sono andata a correre. Avevo dentro una rabbia e una frustrazione che non sapevo come gestire, così ho cercato di fare una cosa che fosse il più fisica possibile. Non avevo mai corso per il puro gusto di farlo. Ho sempre associato quest’attività al riscaldamento, non è mai stata “l’obiettivo”. Non avevo mai corso in solitaria, in città o ascoltando qualcosa. Avevo solo bisogno di concentrarmi su qualcosa di reale. Avevo bisogno di sentire il mio corpo rilasciare endorfine e stancarsi fisicamente, non solo mentalmente. Chi lavora con me lo sa, somatizzo molto e prendo tanto (spesso tutto) sul personale. Correre è stato il modo di riportare il personale a me nel modo più concreto possibile.
Se ho capito che correre era la risposta giusta è grazie a Kalò Dromo, la newsletter di
che racconta la sua preparazione alla maratona di Atene del 2024 (esatto, tra qualche mese). Ogni domenica - quindi l’ultima puntata è fresca - Sara parte dalla corsa e da cosa vuol dire correre, in assoluto e con un obiettivo così preciso, per raccontare come sta cambiando lei chilometro dopo chilometro. A Sara invidio un po’ il coraggio ma, come ha detto nell’ultima puntata di Invidiosa parlare di invidia è sbagliato. Ammiro proprio quello che sta costruendo e l’onestà con cui lo racconta. Che regalo.Angela
P. S. Ringrazio Giovanni Nava per le illustrazioni e tutte le cose belle di Invidiosa.
© 2024 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
Se vuoi leggere i vecchi numeri di Invidiosa, trovi tutto in questa pagina.
Grazie aver dedicato un po’ di tempo a me e a questa newsletter. Insieme a te la leggono 216 belle persone.
E noi due, abbiamo qualcosa da invidiarci?
Fammelo sapere con un cuore, un commento o parlando di questa newsletter con chi ti va.
Ti hanno inoltrato questa mail? Iscriviti a Invidiosa.
Che bella intervista, sono molto felice di avervi fatte incontrare
Grazie Angela 😍
Corriamo!