Invidiosa #12 - Masochismi digitali
Ohilà, tutto bene? 👋 Io sono Angela, questa è e oggi parliamo di masochismi digitali.
Per capirci, io ho una perversione. È una di quelle cose semplici che ti fanno perdere una marea di tempo, ti avvelenano la giornata e per ricambiare ti danno una ridicola scarica di serotonina. Il mio tormento si chiama “Visualizza i commenti”. Passo più tempo a leggere cosa si dice a proposito di qualcosa che a godermi un’immagine, un articolo o un video. La mia pancia vuole l’arena, lo scontro e forse anche un po’ di rabbia. Com’è giusto che sia, cerco anche una conferma della mia opinione. Quando la trovo, però, la soddisfazione dura qualche minuto. È più probabile, infatti, che una sessione di spulciamento commenti mi lasci nauseata e depressa. Nonostante questo, ci ricasco con tutte le scarpe: anzi, ogni tanto scelgo di rispondere pure. È più forte di me, sento l’impulso di fare qualcosa – qualsiasi cosa – pur di contrastare il senso di impotenza.
E rispondere è almeno un’azione. Non risolve nulla, è una perdita di tempo e certi soggetti farebbero prudere le mani a Bambi, ma è comunque un gesto. L’altra mia perversione, infatti, è continuare a seguire gente che mi fa stare male. Non parlo di profili che mi infastidiscono, perché con quelli faccio di peggio: non li seguo e ogni tanto vado a guardarli per arrabbiarmi, per puro masochismo. No, mi riferisco a quegli account che picchiano la mia autostima ogni volta che becco un nuovo progetto, un nuovo viaggio o un nuovo qualcosa. Queste persone sono lì a fare, e io sto dietro uno schermo a guardarle fare. A Instagram – così come a TikTok – va benissimo così, perché non vuole che io mi sganci: mi dà piccole soddisfazioni chimiche – banalmente, il refresh è simile a una piccola slot machine – e mi fa sentire nel “cerchio sociale” di chi seguo. Mi tiene aggiornata sulle tendenze e mi permette di fare parte di quell’inner circle che altrimenti non saprei raggiungere. Essere al passo di vite “invidiabili” mi aiuta a rimanere all’altezza delle mie aspettative senza il rischio di espormi nel mondo reale. È comodo ed è sempre a portata di mano. Ma soprattutto: riduce al minimo lo sforzo. Tanto tutto quello che devo fare è scrollare e, al massimo, leggere.
Ma allora perché tutta questa insofferenza? Facciamo un piccolo passo indietro: il marketing prende in prestito dall’informatica due termini per capire da dove arrivano le informazioni. Le comunicazioni sono top-down – cioè dall’alto verso il basso – se partono da un piccolo gruppo di persone e arrivano alla “massa” ordinate secondo certi format. Se invece le informazioni arrivano dalla massa, chiunque può contribuire e le fonti sono scollegate tra loro, parliamo di comunicazioni bottom-up. Anche i media si possono dividere in queste due categorie: la tv, la radio o la stampa sono media top-down, mentre i social – o proprio Internet – sono piattaforme bottom-up. Per come gestisco io Instagram, però, un medium bottom-up è diventato top-down: Instagram, Facebook e TikTok sono una televisione con un palinsesto più ampio. Il problema, però, è che a differenza di una tv io qui potrei intervenire. Ecco dove sta lo strappo, il potenziale sprecato.
Quindi, che si fa? Ci si deve disintossicare? Magari eliminando i social o mettendo un timer che me li chiude automaticamente se ci sto su più di X minuti? Può funzionare eh, ma credo che sia più utile fare un po’ di wrestling con l’impulso di stare online in modo passivo. A pensarci bene, Invidiosa è un tentativo in questa direzione. Non posso dire che sia la risposta giusta per chiunque, ma è una risposta.
Tutta invidia
Chi mi legge da un po’ sa che questa era la rubrica con la Rassegna invidiosa. Ecco, ho deciso di sistemare e raccontare, senza tanti giri, cosa mi ha fatto proprio mangiare le mani nelle ultime due settimane. Che poi, diciamolo: è meglio beccarsi un po’ di invidia che di compassione.
Cosa stai leggendo - Sempre e maledettamente indietro
Quest’anno, per i miei standard, ho letto tanto. Non mi sono sparata dei super mattoni, sono stata abbastanza costante e ho macinato gli ultimi due libri dell’Amica geniale con una voracità che forse ho dedicato solo a Harry Potter. A fine ottobre e ho letto già 21 libri: sono quella che il mercato editoriale chiamerebbe “una lettrice forte”, e penso proprio di esserlo. Così, quando qualche sera fa ho beccato il “recappino” della creator che gestisce la pagina Cosa stai leggendo m’è preso lo sconforto. Coral, la creator, ha fatto una selezione di 24 libri che ha letto da inizio anno fin qui, e tra loro ci sono mattonozzi niente male. Ma è, appunto, una selezione. Vuol dire che ne ha letti ben più di 24. E ha senso, perché per curare una pagina che parla di libri – e Cosa stai leggendo lo fa anche molto bene – devi avere un ottimo ritmo. Ora, io lo so che non è una gara e che ogni persona ha il diritto di leggere quanto vuole e quando le va. Anzi, so che i miei 21 libri sono un risultato piuttosto invidiabile. Guardando la lista di Coral, però, è stato inevitabile non pensare di essere in difetto. E non credo sia normale.
Humble bragger - Per capirci, quello che ho appena fatto io
Per lamentarmi di chi legge più di me, ho detto di aver letto comunque un gran bel malloppo di libri. Mi sono “vantata umilmente”, anche se sarebbe più corretto dire che mi sono vantata denigrandomi. Ecco, la pratica dell’humble bragging – di cui RivistaStudio ricostruisce la storia nell’articolo che ho postato nel titolo del paragrafo – è una modalità più o meno consapevole di esistere sui social che serve a non “spiaccicare troppo in faccia” i nostri successi a chi ci segue. Dovrebbe servire, in teoria, a schivare l’invidia social. La linea di confine dell’humble braggin è sottile però, perché anche i post con le migliori intenzioni prestano sempre il fianco a un certo livello di vanteria. Pensate a quelle persone – soprattutto nel campo culturale – che si “lamentano” di avere troppi progetti per le mani: per chi la cultura la fa ma ha meno fortuna, quello potrebbe essere humble bragging. Anche LinkedIn è molto fertile per l’humble bragging: ho letto – mannaggia a me, non ricordo dove – che per molte persone è diventato il più grande “sfogatoio” dove promuovere il proprio lavoro. È anche per questo che faccio molta, moltissima fatica a stare su LinkedIn o su molti profili Instagram. Ragionando così, però, ogni cosa che postiamo rischia di diventare un humble brag. La foto di una vacanza, un commento informativo, il video di un concerto. Per chi vuole l’integrità a tutti costi, il confine tra condivisione e vanteria si assottiglia. Ma ha davvero senso cercarla, questa superiorità morale? O forse facciamo prima ad accettare l’humble bragger che è in noi? A proposito: se ti va, raccontami che humble braggata hai fatto. Sono curiosa, molto curiosa.
Ci risentiamo comunque tra due settimane, con la giusta umiltà.
A presto,
Angela
P. S. Queste illustrazioni belle le ha fatte Giovanni Nava, che non ringrazierò mai abbastanza. Lo trovate sempre qui.
© 2023 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
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