Invidiosa #5 - Tenetevi i vostri padri
Ciao 😊 Una cosa piccola, intanto: grazie per aver aperto Invidiosa. Si prende un pezzo del vostro tempo, e non è una cosa scontata.
Quindi, è tornata la newsletter che prova a capire l’invidia: oggi si parla del mio personalissimo Instagram Down per la festa del papà. Quest’anno la fortuna era dalla mia – ero in viaggio – ma ogni 19 marzo cerco sempre di arrivare “pronta”.
Ho pensato molto a quanto sia appropriato parlare qui di una cosa così delicata. Un po’ perché non so quanto ve ne possa importare di pezzi della mia vita privata, un po’ perché rischierei di imporvi la stessa cosa che mi fa scappare da Instagram ogni 19 e 20 marzo: foto di padri. Padri appena diventati padri, giovani padri in vecchie foto sgranate, padri che non si possono fotografare più.
Insomma, magari è un giorno – o un tema – insostenibile anche voi. Se è così, forse è meglio salutarci subito. Vi capisco, di cuore, e farò in modo di recuperare presto.
Purtroppo, ci sono momenti in cui ho bisogno di tirare fuori questo marciume di pensieri: Invidiosa esiste anche per questo, alla fine. Se invece ve la sentite di andare avanti, iniziamo.
La relazione con mio padre è – per dirla in termini civili – conflittuale. Abbiamo caratteri molto simili e idee diametralmente opposte sul concetto di dovere e rispetto. Per me, il rispetto è relazionale, può cambiare nel tempo ed è legato a doppio filo alle azioni. Per lui, è un dogma immutabile fatto di anzianità, precedenze e sensi unici. Per me, il dovere nei confronti degli altri è una scelta quotidiana, che può e deve essere messa in discussione quando mi richiede di agire contro i miei valori. Per lui, il dovere è non dover chiedere.
Sono contraddizioni di poco conto, a pensarci bene. Nel nostro caso – e sorvolo su un bel po’ di fatti, qui – sono state sufficienti a farmi andare il più lontano possibile. Lontana da quell'idea di famiglia che doveva soffocare e ignorare, che lo soffocava e che doveva tenersi stretta per abitudine. Non era fatto per stare in una famiglia così, e non ha mai avuto il coraggio di ammetterlo. O forse non ha mai avuto gli strumenti per riconoscere quanto gli stesse stretta, quella vita lì. Siamo così uguali che io lo so, di non volerla una famiglia così.
Abbiamo scoperto che ha una lieve forma di demenza. Vorrei bastasse per giustificarmi tutta la cattiveria – mia e sua – degli ultimi anni, ma non è sufficiente. Prima di questo c’era una mente lucida e sana. Poco ortodossa e vanitosa, ma così brillante da rendere inspiegabile una resa così totale.
Ecco perché, più di ogni altro momento all’anno, Instagram diventa criptonite per me. Per quanto sicuramente ripulite, aggiustate o re-immaginate, quelle sono storie di padri che non avrò mai. Vanno oltre l’invidia che posso provare per un corpo che non sono, per un viaggio che probabilmente non farò mai o per un lavoro straordinario che potrebbe dare senso alla mia intera esistenza. Chi ha la forza o il desiderio di raccontare quell’affetto o di ricordare una mancanza così grande ha tutto il rispetto che posso sentire. Per un giorno, però, io ho bisogno di proteggermi da questo amore. Sapere che è così possibile e così inaccessibile è una prova che non ho voglia di affrontare.
Sono sicura di non essere l’unica persona che il 19 marzo se lo vive così, e preferisce far scivolare il telefono in fondo alla borsa, a distanza di sicurezza.
Capisco se pensate che, almeno per un giorno, non volete invidiare niente a nessuno.
Rassegna invidiosa
Case, libri, auto e un sacco di cose belle da invidiare.
E un giorno…, Francesco Guccini - Di altri padri, di altre figlie
Guccini è sempre stato il cantante preferito di mio padre, una delle prime cose che ricordo di aver ascoltato. Le cassette che avevamo in macchina erano due: Guccini Live Collection e una versione mega contraffatta di Stagioni, con dentro alcuni pezzoni come “I fichi”. Mio padre – che si spacciava come suo grande amico intimo, segnalando delle dediche “segrete” per lui nei testi – mi ha sempre spiegato molto di Guccini. E a me è sempre piaciuta la sua teatralità, le parole barocche e precise, il sax di Marangolo e i suoni argentini di Flaco Biondini. Come succede con i cantanti “ereditati”, tanti pezzi hanno avuto senso anni e anni dopo. Uno di questi è “E un giorno…”, che ho ascoltato davvero solo a 20 anni. Prima, non aveva senso capirla. Dopo, è stato necessario conoscerla.
Voladoras, Mónica Ojeda - Orrore e desiderio
Di solito non parlo di libri che non ho ancora letto, ma sentire Monica Ojeda al Book Pride è stato come svegliarsi. Quale rapporto c’è, se c’è, tra desiderio, corpo e violenza? Il corpo è il campo di battaglia tra violenza e desiderio? O è il corpo stesso a desiderare e respingere la violenza? Da queste domande nascono i racconti dell’orrore di Monica Ojeda, scrittrice ecuadoregna etichettata come “la regina del gotico andino”. La violenza sul e del corpo femminile vive oltre il dolore stesso, lascia segni che vengono portate avanti come un’eredità, una traccia genetica. Così, mentre la sentivo parlare dell’assimilazione della crudeltà, mi chiedevo che rapporto ci fosse tra violenza, vendetta e invidia. Spero di scoprirlo presto.
Grazie ancora per aver letto fin qui. Per qualsiasi cosa, ci sono.
Un abbraccio,
Angela
P.S. queste illustrazioni belle le ha fatte Giovanni Nava, che non ringrazierò mai abbastanza. Lo trovate sempre qui.
© 2023 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
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