Invidiosa #3 - Predicozzi sanremesi
Oilà! È tornata la newsletter che parla di invidia e che è in ritardo di due settimane ⏰
Vorrei dirvi che era tutto calcolato per parlare di Sanremo, ma la verità è che le scorse settimane non sono riuscita a scrivere molto. Poco male, visto che il monologo di Chiara Ferragni sul palco di Sanremo ha generato un “botta e risposta” di questo tipo:
A – “Non sai scrivere, che brutto monologo, c’hai la gobba, che vocina stridula, stattene su Instagram, tu non puoi parlare di femminismo/sofferenza/difficoltà”;
B – “La criticate solo perché state a rosicà”.
È vero quello che dice B? Secondo me, sì. O meglio: a me, vederla lì con un monologo sempliciotto, i tempi di conduzione traballanti e le mie stesse identiche spalle curve ha fatto pensare “ma che avrà di così speciale?”. La verità è che di cose speciali Ferragni ne ha tantissime, e non deve certo renderne conto a me, a Selvaggia Lucarelli o a Laura Fontana. Non voglio stare qui a elencare in che modo è stata una pioniera, perché della sua vita sappiamo tutto tutti. E il punto, forse, è un po’ quello.
Nessuno – nei giorni prima del festivàl – le ha negato o ha provato a negarle il suo successo. La sua presenza su quel palco era la prova provata di parabola ascendente che non stava rallentando. Perché, allora, dover rivendicare quel successo anche a Sanremo? La risposta che mi sono data è che quella è la sua narrativa, la cifra stilistica con cui parla a tutte le persone che la seguono e si fidano di lei. La sua storia è da sempre contenuto e contenitore dei suoi messaggi, e non poteva che essere così anche stavolta. Peccato che la comunicazione top-down è diversa da quella digitale, e l’effetto di una bellissima donna sbrilluccicante in Dior che ti racconta di come ha superato le sue difficoltà da un palco in mondovisione è…straniante.
Non perché a Chiara Ferragni non sia concesso di raccontare le sue sofferenze – non esiste il “disgraziometro”, dove ha il diritto di lamentarsi solo chi sta messo peggio – ma perché ho trovato impossibile immedesimarsi con lei in quel momento. Tu, col trucco impeccabile e una taglia 36, ti senti imperfetta? E io, che ho la schiena rotta a nemmeno trent’anni? Tu, che hai studiato economia e ti occupi di moda, leggi una roba scritta di tuo pugno durante l’evento più importante della tv italiana? E chi ha lauree, titoli, premi Strega e chi più ne ha più ne metta, dov’è? Non basta che io mi senta distante da lei nel quotidiano: anche le mie storture sono ridimensionate accanto alle sue.
Ma non è nemmeno questo il punto. Il nòcciolo è arrivato solo dopo, a mente fredda e dopo tante discussioni. Il monologo di Ferragni mi ha fatto sentire addosso una responsabilità gigantesca. È mio compito pensarmi libera, urlare che essere una donna non è un limite – ascoltatelo mentre avete il ciclo, ve lo consiglio –, è il mio compito volermi bene. Come se vivessi in uno spazio senza attriti, scontri culturali, sociali o di classe. Il punto è che sentirmi l’unica responsabile – non la principale, ma l’unica – della mia felicità e della mia sicurezza mi spinge a demolire la felicità degli altri. Mi fa sentire sola e impotente.
Chissà, magari qualche bambina, ragazza, donna o nonna si è davvero illuminata all’idea che nessuno abbia il diritto di limitarla. E se è così, è sempre un successo. Ma dopo aver urlato al mondo che non abbiamo limiti, dove si va?
Rassegna invidiosa
Case, libri, auto e un sacco di cose belle da invidiare.
L’evento, Annie Ernaux - Il corpo prende una strada, tu un’altra
“L’evento” parla di un aborto clandestino, praticato in Francia nel 1963. Nello specifico, Annie Ernaux parla del suo aborto: non a caso, è una scrittrice che ha fatto del memoir – il racconto emotivo, non solo cronologico, di un fatto – la sua forma letteraria principale. Nelle prime pagine del libro, uscito nel 2000, Ernaux racconta che da tempo ogni progetto di scrittura le portava i pensieri a quell’evento.
Sentiva che non avrebbe potuto più scrivere se non avesse scritto del momento in cui più si era sentita “separata” dagli altri. L’aborto – soprattutto quando sembrava impossibile – era un pensiero così totalizzante da rendere tutto il resto (università, amici, momenti in famiglia, il futuro) di poca importanza. E tutto quello che Ernaux riusciva a pensare, quando si concentrava su gli altri, era la differenza, lo scollamento, la fine del terreno comune, la mancanza.
Esiste l’invidia buona? - Parola agli specialisti
Circa un mesetto fa, Serenis – un ottimo servizio di psicoterapia online – ha scritto un post sull’invidia. Oltre all’oggettiva bellezza dell’llustrazione, Serenis si chiede se esista un’invidia buona. Se, in parole povere, l’invidia può stimolarci a fare di meglio per noi stessi, spingerci a ottenere quello per cui invidiamo chi invidiamo. La risposta breve – spoiler in arrivo – è no, l’invidia non impara da se stessa. Ma non è nemmeno un interruttore che possiamo spegnere a comando. Quello che si può fare – che è un po’ il senso di Invidiosa – è parlarne. Ma come facciamo a capire quando l’invidia sta avendo la meglio su di noi? Serenis ha una possibile risposta.
Bene bene, anche stavolta c’è tanta carne al fuoco: anzi, tanti discorsi appena accennati vorrei affrontarli di nuovo – magari in modo più approfondito – nelle prossime uscite. Anche per questo, vorrei chiedervi un favore: vi andrebbe di far girare un po’ Invidiosa tra le persone che conoscete? Solo a chi pensate possa interessare rosicare un po’, ovviamente.
Grazie davvero,
Angela
P.S. queste illustrazioni belle le ha fatte Giovanni Nava, che non ringrazierò mai abbastanza. Lo trovate sempre qui.
© 2023 Angela Cannavò.
Le illustrazioni della newsletter sono di Giovanni Nava.
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